Regia di Harmony Korine vedi scheda film
Mettiamo ordine. Perché nonostante la demenza delirante di Baby Invasion, ultimo sproloquio visivo di Harmony Korine, c’è un intero sistema di segni che ci chiede di mettere ordine. Anche perché, come pura esperienza sensoriale, chi vorrà godersela se la godrà e chi non vorrà se la prenderà col regista (e col presente), senza troppe storie.
Il film si apre e si chiude con la dichiarazione di una programmer di videogiochi che racconta del furto di un suo videogame in realtà virtuale da parte di alcuni pirati del dark web. Confessa, fin dalle prime battute, che il risultato è un incubo.
È a quel punto che ci viene mostrato il videogioco: un gruppo di teppisti fra Trash Humpers e Spring Breakers vanno in giro per le ville dei ricchi di Miami e razziano senza tanti complimenti cibo, denaro, mobilio, arrivando anche ad aggressioni e torture. Il gioco sembra essere giocato da qualcuno in diretta su Twitch, la piattaforma di live streaming dai proverbiali commenti a scorrimento e dalla schermata del gamer - che qui appare e scompare a ritmi alternati; in realtà sembra anche giocato nella vita vera, da terroristi psicopatici che per non farsi riconoscere sostituiscono i loro volti con facce di neonati generate con l’Intelligenza Artificiale. Korine mette insieme il gamer (o twitcher che dir si voglia) e queste riprese in real life (che si direbbero in gergo “in POV" o "sparatutto”), facendoci credere che il gamer stia giocando a una realtà diventata Grand Theft Auto. Forse vera forse no. Nel gioco siamo nei panni di uno dei criminali, che col suo gruppo razzia due ville, un appartamento più piccolo e uno yacht, rivendicando di essere l’Anticristo, ballando, bevendo e facendo confusione in tutte le possibilità che ogni scenario gli permette.
Le riprese sono in “augmented reality”: la realtà viene arricchita da elementi posticci che interagiscono con il profilmico attivando le classiche meccaniche del videogioco, qui a volte sensate a volte completamente deliranti: i soldi col simbolo del dollaro sospesi per aria, la barra di energia, le munizioni, gli oggetti, i cuori, le emoticon.
Per aggiungere complessità a questa matrioska/tana del bianconiglio, in alcune circostanze si accede a uno dei giochi (ci sono anche dei minigiochi di corsa sul triciclo) direttamente da un’altra realtà virtuale ancora, contesa fra la mappa di un edificio abbandonato e dei corridoi composti unicamente di schermi.
A corroborare infine l’impresa koriniana, una voce fuoricampo che con frasi spezzate e dissolte in singhiozzi lungo tutti gli 80 minuti racconta la favola di un coniglio braccato e mangiato da una creatura indescrivibile, crudele, ma bellissima. Con la favola Korine riesce ad immettere nel film la dimensione mistica/spirituale che sempre eleva lo sballo e le manie distruttive in esercizi di autoaffermazione dei suoi personaggi. La soluzione con cui la preghiera favolistica interverrà alla fine sugli eventi è bene scoprirla da sé, ma in compenso si può dire che Korine è in grado di assorbire un ventennio di esperienze POV (horror, sci-fi, thriller) al cinema, e i più recenti gameplay movie come Livescream (col sequel Livescreamers, entrambi di Michelle Iannantuono), nonché live horror spiritosissimi come Gonjiam o #ChadGetsTheAxe, portando tutto su una dimensione di apparente puro astrattismo che invece è il palesarsi automatico (e praticissimo, inevitabile, concreto) davanti ai nostri occhi del mondo ipertestuale e intangibile che è diventato la realtà.
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