Regia di Wang Bing vedi scheda film
Per chi bazzica ormai un ventennio di magnifico cinema di Wang Bing sa che ritrovarlo è andare alla ricerca di un gesto. Le sue opere monumentali che ritraggono lo stile di vita degli ultimi della Cina contemporanea si assomigliano tutte se non fosse per la logica nascosta del montaggio e per i suoi gesti. C’è altro oltre alla nuova logica del terzo film della trilogia di Youth, basata questa volta sul seguire le coppie di lavoratori innamorati, fra casa e fabbrica, fra rituali tradizionali e rituali di alienante efficienza fordiana. C’è per esempio un coriandolo che pende dal bordo della cinepresa, c’è un finto establishing shot, c’è un cellulare in carica lasciato a penzolare in primo piano: quei gesti aprono spiragli miracolosi sulla natura della messa in scena del regista, il suo essere ormai cosciente elemento dei suoi paesaggi, oggetto fra gli oggetti, mai invisibile ma pesante, respirante. Nei meccanismi di sfruttamento della macchina capitalista il gesto salverà l’umano, con una camera lasciata ferma su una coppia che amoreggia di fronte a una macchina da cucito, con un trolley con SpongeBob disegnato sopra trasportato attraverso un corridoio che ti riporta a casa, con due sposi che attraversano una folla acclamante su una strada al confine di uno strapiombo. La regressione della mano di Wang a sgraziata ipercinetica mosca che insegue o si ferma - e si posa - non si limita a “farti sentire lì”, ti fa credere che ovunque ma proprio ovunque si possa riuscire con grazia a sopravvivere.
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