Regia di Neil Jordan vedi scheda film
Sembrava operazione che gridava vendetta: mettere le mani della contemporaneità su un autore come Jean-Pierre Melville. Ma Neil Jordan, cineasta di cui si sono sottovalutati spesso troppi film (due per tutti: The Butcher Boy e In Dreams), agisce con una modestia intelligente che è rarissimo trovare nelle tonnellate di remake che infestano i nostri schermi. Jordan sa benissimo di non poter recuperare e rifare toni, mondi, perfino idee di Bob il giocatore, il noir del 1955 su cui The Good Thief (ma non c’era un altro titolo italiano, perlomeno diverso da quello nostrano di Romeo is Bleeding di Medak?) si basa. Preferisce dunque scriversi da solo la sceneggiatura. E se di modestia si tratta, non significa rinunciare al rischio. The Good Thief si apre all’eterogeneità sociale e culturale con una generosità che non ha nulla della correttezza politica. L’universo in cui il ladro Bob e ogni personaggio vivono è un melting pot di razze, linguaggi e corpi che testimonia di uno scacco del caos nei confronti di chi vuole pianificare ed etichettare tutto. Si tratta di un caos splendidamente vivo, tonificante, per niente turistico. Jordan ha il coraggio di modificare spirito e visione delle cose quando meno ce lo aspettiamo: sembra che la disperazione e la solitudine abbiano la meglio, nella Nizza di Bob, ma poi i budelli si squarciano, la levità si impone e l’amore per la vita prende il sopravvento. Nessuna conciliazione, nessuna pacca sulla spalla, solo una fiducia preziosa nei desideri dell’uomo, anche attraverso il sangue, alla faccia di legalità, morale, pessimismo, tragicità e quant’altro. Non è poco, oggigiorno. Quei rapidi e bellissimi freeze frame su volti e corpi, o che a volte interrompono un gesto sul nascere, stanno lì apposta a dirci che non c’è tempo per perdere tempo, e che la vita va troppo in fretta per occuparsi anche della morte. Con collaboratori prestigiosi (magnifica la fotografia iperrealista di Chris Menges, grande la musica di Elliot Goldenthal), un centro focale, Nick Nolte, da urlo, e facce da incorniciare, Jordan trasforma la malinconia, il disincanto e il senso di sconfitta di Melville in piacere nel ritrovare il riscatto. Vivendo.
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