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Va e vieni

Regia di João César Monteiro vedi scheda film

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La recensione su Va e vieni

di mm40
6 stelle

Joao Vuvu si aggira quieto per Lisbona, incontrando gente sugli autobus o nei parchi e intrattenendosi in dialoghi surreali; di tanto in tanto torna nella sua casa piena di libri e arredata come un tempio per fare la conoscenza di qualche nuova aspirante domestica: tutte scappano nel giro di poco.

 

Anche se lo chiama Joao Vuvu, è sempre lui il protagonista: Joao De Deus, al centro già di una spassosa e inquietante trilogia (Ricordi della casa gialla, La commedia di Dio, Lo sposalizio di Dio) e qui alle prese con la sua ultima, irrisolvibile battaglia: quella contro la morte. Scritto e diretto da Joao Cesar Monteiro, Va e vieni è fin dal titolo un lavoro esistenziale, un altro capitolo - per forza l'ultimo, visto che il regista/sceneggiatore/attore sapeva di essere prossimo alla resa dei conti - della singolare filmografia di questo autore dotato di una vena satirica e polemica assolutamente unica, profondamente intellettuale pur volendo per primo schernirsi trascinando a forza la sua poetica in argomenti escrementizi, morbosi, controversi. Peli pubici, fellatio & cunnilinguus, inserimento di oggetti (e frutta) nell'ano: tutto questo compare con la massima disinvoltura in Va e vieni, accanto a una serie di drammatici interrogativi sul non-senso della vita, a cui Vuvu-Monteiro risponde semplicemente evitando le domande, applicando la sua innata curiosità per le piccole cose e il suo desiderio di totale libertà anche all'ultima fase dell'esistenza, quella dell'inevitabile declino; una forma di rinuncia che non dimentica però che l'unico appiglio, l'unica ancora di salvataggio in questo universo di dolore e lacrime è il piacere: i suoi istinti sessuali non erano mai stati così diretti come in questa pellicola, così come mai lo si era visto divorare sigarette su sigarette sullo schermo. Vuvu non rinuncia alla vita, non è la vita che lo costringe ad andarsene: è lui che la condanna a rimanere. Quasi tre ore di durata, camera per lo più fissa con inquadrature di splendore pittorico non indifferente, dialoghi surreali e personaggi mai caratterizzati più di tanto tranne il protagonista, l'unico a essere sempre in scena; i momenti demenziali sono parecchi e godibili (l'intervento chirurgico!), quelli nonsense (o troppo cerebrali? chissà) non mancano, la chiusura con l'incontro con la morte e l'insostenibile sguardo di colui che va ad affrontarla è perfetta. 6,5/10.

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