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Sharp Corner

Regia di Jason Buxton vedi scheda film

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La recensione su Sharp Corner

di pazuzu
5 stelle

Jason Buxton prova a dettagliare con cura da antropologo la deriva verso la psicopatologia del protagonista, ma dimentica di dare solidità e corpo al contorno e al contesto.

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Josh e Rachel, una coppia felice con carriere lavorative avviate ed un bambino di sei anni da crescere, decidono di trasferirsi dalla città alla campagna, diventando pendolari in cambio di una sistemazione da sogno, in una casa grande e isolata il giusto. La prima notte dal loro arrivo, però, non tutto va come previsto: un'automobile tira dritto sulla curva a gomito antistante il giardino, schiantandosi su un albero e proiettando uno pneumatico fin dentro il salotto. Mentre, preoccupata anche per lo spavento subito dal figlio Max, lei punta a dimenticare l'accaduto e tirare avanti, lui da un lato legittimamente si adopera affinché quella curva risulti meno pericolosa, tagliando via i rami che impallano il cartello che la segnala, e dall'altro si documenta sul ragazzo che guidava e che ha perso la vita, cercando morbosamente tracce da lui lasciate sui social.
Di lì a poco tempo, un secondo incidente, al quale lui assiste di nuovo senza riuscire a salvare il malcapitato di turno, lo convince ad iscriversi ad un corso di primo soccorso, per farsi trovare pronto per il successivo. Mentre la donna, intenzionata a proteggere il ragazzino che inizia a dare forti segnali di ansia, manifesta l'intenzione di vendere la casa e spostarsi altrove, l'uomo rilancia proponendosi di stare più tempo in casa con lui lavorando in smart working, in realtà trascurando il lavoro e passando intere giornate ad aspettare il prossimo incidente, per farsi trovare stavolta pronto e passare alla storia da eroe.

 

 

Diretto da Jason Buxton adattando un racconto di Russell Wangersky, Sharp Corner descrive la progressiva discesa del protagonista, un uomo comune che conduce una vita nella norma, in un abisso nel quale un comportamento di buon senso si trasforma in ossessione, nel quale la possibilità di metterci del proprio per rendere una strada più sicura slitta via via verso il bisogno patologico di sentirsi riconosciuto come il salvatore del genere umano, nel quale l'iniziale - sano - desiderio di aiutare il prossimo, lascia il posto ad una ricerca sempre più malata di un evento che lo metta in condizione di passare alla storia.
Entrato nel ruolo dell'uomo in missione, Josh perde la cognizione della realtà, mandando alla malora qualsiasi scala delle priorità: la vita familiare, così come il lavoro, divengono questioni secondarie e residuali, in un racconto che si fa teso e straniante resoconto di ogni suo passo verso una sottile forma di pazzia; ogni rombo di motore - filtrato dalla sua prospettiva - diviene una potenziale occasione per riscattare i mancati soccorsi precedenti, mentre l'enorme vetrata che dalla sala si rivolge verso la strada, dall'essere una grande e luminosa finestra sullo spazio esterno, diviene uno schermo sempre acceso sul palco che in ogni momento potrebbe dargli la notorietà.

 

 

Complice un'ambientazione perfettamente riuscita (la villa è stata costruita ad hoc dopo aver individuato con Google Earth il tornante giusto), Jason Buxton prova a dettagliare con cura da antropologo la deriva verso la psicopatologia del protagonista, ma dimentica di dare solidità e corpo al contorno e al contesto: la famiglia, i colleghi e gli amici, sono tutti personaggi meramente strumentali, che svolgono il loro scopo senza crescere e patiscono un immobilismo che cozza pesantemente con il percorso ben più fluido ed organizzato del protagonista.
A stringere, rimane un one man show, ma è davvero troppo per le spalle del pur volenteroso Ben Foster.

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