Regia di Walter Salles vedi scheda film
Venezia 81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Negli ultimi sessant’anni s’è sviluppata una narrativa piuttosto nutrita sul fenomeno sudamericano delle dittature militari. Paesi come Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Perù, Bolivia e Brasile furono interessati, a partire dagli anni ’60, con particolare intensificazione nei successivi ’70, da un’ondata di colpi di stato orchestrati dagli apparati militari locali con la collaborazione della CIA. Le cicatrici lasciate in eredità sono ancora profonde al punto che la produzione cinematografica legata al periodo continua a sfornare nuovi titoli. L’ultimo in ordine di apparizione è “Ainda estou aqui” del regista brasiliano Walter Salles.
Benché in Occidente, per questioni di numeri, siano state le dittature argentina e cilena ad attrarre maggiormente l’attenzione, non vanno dimenticati gli altri paesi del “cono”, tra questi il Brasile la cui dittatura ebbe origine nel 1964 e finì solo vent’anni più tardi. Nonostante un numero presunto di omicidi perpetrati dallo stato inferiore a quello dei paesi confinanti, la dittatura carioca non fu meno violenta. Rispetto agli alleati del “Plan Condor” i vertici militari brasiliani furono più efficienti nel mantenere una parvenza di legalità all’interno delle istituzioni civili e democratiche ma perseguitarono comunque gli oppositori politici con metodi repressivi. L’amnistia del 1979, che di fatto rese impossibile processare chiunque per garantire la pacificazione, consentì al paese un lento passaggio verso la democrazia ma avvilì le istanze di giustizia dei familiari dei desaparecidos e di coloro che, torturati ed imprigionati, infine, sopravvissero. La mancanza di processi, l’impunità garantita a tutti coloro che commisero crimini per conto dello stato e contro lo stato evitò, probabilmente, nuovi possibili putsch, ma lasciò molti brasiliani a bocca asciutta. Senza sentenze che rendessero tangibili le colpe dell'esercito e senza soddisfazione giuridica, i cittadini brasiliani si sono accontentati, negli anni, della panacea dell’arte, da sempre in lotta con il silenzio delle oppressioni. Non sorprende pertanto che a quarant’anni dalla fine della dittatura la mancanza di incriminazioni sia stata compensata, quanto meno, con il “verdetto morale” di una ricostruzione storica che spesso il cinema riesce a sviluppare con sufficiente concretezza e aderenza ai fatti.
Il film di Walter Salles ripercorre, partendo dalle memorie di Marcelo Rubens Paiva, la storia del padre Rubens arrestato nel 1971 e quella della madre Maria Lucrécia Eunice Faciolla che mai smise di combattere per ottenere informazioni sul marito, all’epoca dei fatti ex membro del partito laburista disciolto. Salles segue l’odissea di Eunice e dei suoi cinque figli ma in realtà racconta l’intero Brasile per fotogrammi e allegorie. La chiassosa e spensierata famiglia, le foto sulla spiaggia di Rio, i balli, i momenti di gioia e ilarità vengono spazzati via da un arresto arbitrario che, tuttavia, si compie senza violenze e sotto gli occhi di tutti. Lo stesso Paiva tranquillizza la consorte e i figli, forse presagendo il dolore di un addio, forse sperando in un rilascio successivo. Per la famiglia inizia una nuova epoca. L'arresto è lo spartiacque tra la vita e la mera sopravvivenza. Il mondo dei Paiva si sgretola sotto il peso dell'attesa finché subentra la consapevolezza di un cambiamento che le nuotate e le partite di beach volley avevano in parte offuscato, nonostante l’impegno politico di Rubens avesse richiesto la massima circospezione sin dall'instaurazione di un clima politico avverso.
La famiglia allargata di Rubens Paiva è il paese stesso che passa dalla democrazia al regime, dalla spensieratezza della libertà alla coercizione dello stato di polizia. Nel microcosmo dipinto da Salles il padre viene arrestato e fatto sparire, la madre e la secondogenita incarcerate e rilasciate più tardi, la figlia più grande inviata in Inghilterra per proteggerla dalla focosa giovinezza che era costata la vita a molti suoi coetani. Le stesse cose capitavano nel paese. C’è chi moriva, chi veniva torturato, chi riusciva a venirne fuori in qualche modo, chi, infine, prendeva la via dell'esilio.
Eunice ed i giovanissimi figli maturano lentamente nella disillusione pur non abbandonano la speranza di scoprire la verità sulle sorti di Rubens. I brasiliani furono costretti a fare lo stesso ma, attanagliati dalla morsa della miseria e della recessione di fine anni '70, aprirono gli occhi di fronte allo stato delle cose portando, infine, alla caduta del regime tra proteste e manifestazioni di piazza.
Un accenno particolare va fatto al percorso di Eunice che dopo la sparizione del marito diventa avvocato e attivista per i diritti degli indios (probabilmente 8.000 quelli morti per mano dei militari). Ancora una volta Eunice è un simbolo, quello di una società che pian piano si svegliò dal torpore e con pazienza e costanza iniziò a scavare nelle fosse comuni della memoria costringendo lo stato a riconoscere, almeno parzialmente, i propri crimini nel 2014.
Il film di Salles è asciutto e vibrante. È magistrale nel rendere il disorientamento di una famiglia (e quindi di una società intera) incredula di fronte ai crimini dello stato. Il regista non dà spazio alla violenza, menchemeno quella subita da Rubens Paiva che rivive esclusivamente nei ricordi del figlio. Le sequenze ambientate in cella, tuttavia, sono difficili da dimenticare così come il posto di blocco iniziale che ci dà un assaggio della violenza che serpeggiava nel paese. Personalmente trovo superflua la sequenza finale in cui ad interpretare Eunice è l'anziana Fernanda Montenegro, madre della protagonista Fernanda Torres. Il regista ha omaggiato la protagonista del suo celebre "Central do Brasil" ed ha riunito nello stesso film madre e figlia eccedendo, forse, nel sentimentalismo. Un peccato veniale che poteva essere evitato. Resta comunque la sensazione di aver visto un buonissimo film, interpretato splendidamente da Fernanda Torres e capace di ricreare l'atmosfera di una società che andava scoprendo ciò che succedeva in seno alle istituzioni e prendeva coscienza del proprio peso per modificare le cose.
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