Regia di Federica di Giacomo vedi scheda film
Coppia aperta, quasi spalancata, praticamente dilatata, sfondata, devastata. Il battibecco in forma teatrale di Franca Rame e Dario Fo del 1983, omonimo del nuovo film di Federica Di Giacomo presentato in apertura alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia 2024, riprende vita nella sghemba struttura di quasi due ore di un film insolito, falsariga di Franco Maresco, mix di fiction, documentario e re-enactment, che si fa forte di contrasti estremi ed esilaranti contraddizioni. Porta con sé l’intera baracca il carisma di Chiara Francini nei panni di se stessa e durante il tour che portava la pièce di Rame e Fo in giro per l’Italia. Ma quella di Francini non è solo vanità istrionica: mettendosi i panni (forse veri) di una persona incapace di concepire il poliamore come stile di vita e base per nuove idee di famiglia, Francini si scontra vocalmente e volontariamente contro figure di un presente queer di sempre più complessa definizione (anche se spesso ignorante della stessa Franca Rame), attraversando spettri di idee e di nuove convinzioni che la rendono polo dialettico estremo: femminista ma monogama, moderna ma scettica sul linguaggio inclusivo. Scelta coraggiosa quella dell’attrice, che acuisce il senso di forte straniamento che Federica Di Giacomo (già autrice dello straniante Liberami del 2016) sa generare con tanta spontaneità. Nel suo film ci sono sì tracce di una costruzione finzionale, a partire dal montaggio serrato e dai molti campi controcampi, ma l’imbarazzo della re-interpretazione della realtà, domandata a persone vere che devono recitare loro stesse, è tenuto tutto in scena e mai nascosto, quasi in un’ideale direzione opposta a quanto può fare un più blasonato Roberto Minervini. Coppia aperta quasi spalancata non dissimula, non nasconde, non illude, è schietto e acido come una sorsata di spremuta d’agrume, e lascia lo spettatore nella fisiologica confusione di una realtà che si è fatta complessa e che il film, nonostante l’ironia tagliente, non vuole risolvere e anzi vuole restituire come processo antropologico in itinere, da rispettare, da osservare, per chi vuole anche da vivere in prima persona.
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