Regia di Ed Harris vedi scheda film
Una giovane donna cammina portando con sé una rivista: è una copia di “Life” del 8 agosto 1949 e la presenta aperta ad un uomo che, con le mani sporche, vi pone la propria firma. E’ Jackson Pollock, al culmine della fama, mentre espone i suoi quadri ed alza lo sguardo, fissa lontano, oltre ad una qualche frontiera, come nella sua arte.
Torniamo a nove anni prima, Greenwich Village, novembre 1941, due uomini salgono faticosamente dalle scale, inquadrati dall’alto. Pollock è ubriaco e lancia insulti a Picasso che “ha fatto tutto”, l’altro lo conforta ma ottiene solo uno sfogo sfiduciato. Pollock vive con uno dei quattro fratelli, è riformato dall’esercito per problemi psichiatrici e dipinge dopo aver seguito all’Art Student Ligue i corsi di Thomas Hart Benton, pittore regionalista molto influente in quegli anni. L’interprete, regista e co-produttore è Ed Harris, alla sua prima prova alla regia; è somigliante e molto ben calato nel personaggio.
Alla porta di Pollock, si presenta Lee Krasner, l’attrice è Marsha Gay Harden che interpreta la parte con maggiore ironia, alleggerendo così alcune scene drammatiche. Lee è pittrice, esporrà con i giovani artisti americani e sarà compagna e moglie di Pollock. Al primo incontro, osservano i quadri e anche noi scorgiamo alcuni dei primi importanti dipinti, tra tutti, “Nascita”, influenzato da Arshile Gorky, dal Surrealismo e dalla cultura dei nativi indiani. Pollock cerca ancora uno stile e proprio la Krasner lo introduce negli ambienti dell’avanguardia di New York. Conosce Peggy Guggenheim, interpretata da Amy Madigan che, stupita dal lavoro del pittore, organizza la prima esposizione personale (novembre 1843) e gli offre un contratto quinquennale. Gli commissiona inoltre un dipinto di grandi dimensioni che, nel film, Pollock dipinge in una sola notte, dopo settimane di indugio davanti all’enorme tela bianca. “Mural” è il titolo dell’opera e si presenta come un groviglio di linee ritmicamente ripetute, alludenti ad un caos primigenio.
Nell’eseguire il lavoro Pollock esaurisce anche se stesso, ritrovandosi senza vitalità e ricadendo sempre nel vizio dell’alcol. Lee si trova fin dal principio della relazione col pittore ad occuparsi di problemi enormi che riducono all'osso i momenti di serenità. Lei crede nell’artista e non fa mistero di capire poco dei sentimenti dell'uomo: dopo il matrimonio rifiuta d’aver figli e vuole occuparsi esclusivamente della carriera del marito. Così, mentre lo indirizza, non senza sacrificio, verso il successo, lo estromette da esperienze ordinarie, comuni, cui lui invece ambirebbe.
La coppia si trasferisce a Log Island nel novembre del ’45 e lì con maggior quiete Pollock attraversa un periodo creativo decisivo: abbandona la pittura da cavalletto e sviluppa la sua tecnica rivoluzionaria. La tela è stesa a terra e l'artista sgocciola e schizza i colori liquidi, girando intorno, entrando ed uscendo dal quadro stesso. Egli trasferisce l'azione nell'opera, il gesto è libero ma controllato: è l'Action Painting. Artista ed opera sono in intimo rapporto: mentre il primo compie il lavoro e lo completa, essa si materializza e si prende ogni energia. Non c'è casualità: l'artista controlla il proprio mezzo espressivo, c'è un "disegno" e il risultato ha l'aspetto della decorazione, ché dal disegno non prescinde.
A Long Island, il giovane Hans Namuth fotografa e filma l'artista al lavoro: le continue riprese sono una sofferenza ed infine Jackson, sentendosi "finto", ricomincia a bere, presenti tanti suoi "amici", compreso un'arrogante Harold Rosemberg, è l'ennesimo crollo. Nei rari momenti in cui compaiono i colleghi pittori, i dialoghi sono privi d'originalità e anche Val Kilmer, che interpreta Willem de Kooning, è poco più di una comparsa.
Pollock è il più originale pittore degli Stati Uniti ma per poco tempo, la sua vicenda è segnata, ha detto tutto quello che poteva ma non riesce a farsene una ragione. Tra depressione e ricadute nell'abuso d'alcol, trascorre gli ultimi anni, che il film dissolve in pochi minuti. La relazione con Lee termina e Jackson trova, al crepuscolo, l'affetto di Ruth Klingman, interpretata da Jennifer connelly. Impossibilitata a comprendere le intime inquietudini del pittore è disposta tuttavia a condividere momenti apparentemente spensierati e simboleggiati da una bella casa, una bella auto e gite sulla spiaggia. Ed Harris si mostra "partigiano" nel concludere la biografia un po' frettolosamente, ben conoscendo il termine della vita di Pollock. Quasi predestinato alla tragedia corre alla fine, esattamente come corre l'automobile dell'incidente che sarà fatale. Per Harris, dunque, Pollock sceglie di non poter vivere senza pittura e la vita non c'è senza pittura.
Pollock non lascia allievi, solo epigoni, a migliaia. Tutte le critiche indirizzate verso quest'arte apparentemente semplice non sono opportune. Troppo facile e seccante creare un artista "maledetto"? Altrettanto potremmo affermare il contrario: troppo superficiale non farlo. Forse una sola breve frase di quell'uomo, che consumò l'esistenza in pochi estenuanti anni, ci può accompagnare ad un corretto discernimento: "Essere artisti è la vita stessa: è vivere, voglio dire".
Splendida colonna sonora jazz. Pollock adorava Benny Goodman e Gene Krupa. Tom Waits chiude con "The World Keeps Turning", appositamente composta: mesto, languido e straordinario omaggio.
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