Regia di Vanna Paoli vedi scheda film
ECCO UNO DI QUEI FILM DOVE IL DOPPIAGGIO CREA DANNI IRREPARABILI: “The Accidental Detective” della regista Vanna Paoli, girato in presa diretta in inglese, nella traduzione italiana mostra tutti i limiti e la difficoltà di una resa realistica e plausibile di una storia che, ambientata tra l’America e l’Italia, avrebbe necessitato di una coerenza linguistica meno approssimativa e superficiale.
Superato questo periglioso scoglio, non che poi il sentiero sia in discesa: il cast internazionale male assortito, una storia didascalica ed esageratamente scritta e spiegata ed una regia televisiva e monotona non aiutano “The Accidental Detective”, curioso progetto produttivo, a trovare un pubblico adatto al quale rivolgersi. La storia del giovane avvocato americano David Bailey (David Kriegel) (in “missione” a Firenze per scoprire le ragioni che avevano spinto il ricchissimo collezionista d’arte, oramai deceduto, Aaron Silbermann a spendere una fortuna per l’acquisto di un antico e fatiscente palazzo nel centro storico della città) non coinvolge e mai appassiona nei suoi 103 minuti di sviluppi narrativi prevedibili, con personaggi appena abbozzati e cartoline della capitale dell’arte “fotografata” come solo ancora qualche turista cinese ama fare!
Inspiegabile risulta allora il coinvolgimento in questo irrisolto “pastiche” di tecnici come i direttori della fotografia Franco Di Giacomo (“Concorrenza sleale”) e Blasco Giurato (“Del Perduto amore”), di uno scenografo come Andrea Crisanti (“Una pura formalità”), di una costumista come Lina Nerli Taviani (“A cavallo della tigre”) e di interpreti indimenticabili come Sarah Miles (la Vera del “Servo di scena” di Joseph Losey qui invece nel ruolo “macchietta” della Contessa Mazzi Tinghi) e di altri grandi attori come Paolo Bonacelli, Tomas Arana, Paolo Bonacelli, Sergio Fantoni, Sergio Bini/Bustric ridotti a semplici comparse.
E se la regia si limita a ripetuti e monotoni movimenti della macchina da presa dal basso verso l’alto e viceversa, la delusione maggiore però crediamo che sia l’aver smarrito i tempi ed i toni del film che, se nelle intenzioni della regista (come apprendiamo dal pressbook) doveva essere “una commedia brillante, un film classico anche leggero ed elegante”, si risolve invece nell’infelice esempio di un cinema italiano amorfo ed incolore.
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