Regia di Lucio Pellegrini vedi scheda film
Povero Pitagora, se avesse visto questo film! Tracciate un triangolo e ad ogni vertice mettete una P. “P” come Potere-Pecunia-Pelo. Così è tracciato l’identikit dei giovani studenti della Normale di Pisa nel film di Lucio Pellegrini, Ora o mai più, prodotto dal barese Domenico Procacci.
I protagonisti tanti, tutti posti dinanzi al grande interrogativo: “Che famo?”. David, studente modello, della Facoltà di Fisica nel giorno dell’ultimo esame, Viola giovane attivista in una riunione organizzativa contro il G8 di Genova, ma tanti altri nomi, che rincorrono i loro sogni utopistici a botte di canne, okkupazioni e amori.
Dopo l’esordio di E allora mambo, la dolce-amara presa di coscienza sull’eterna immaturità del maschio ‘sfigato’, e Tandem, una sorta di macedonia di psicologia e new-age, il regista 37enne, Pellegrini originario di Asti, nel suo terzo lungometraggio sceglie ancora l’analisi sociale, tanto cara a (ma soprattutto vera in) Monicelli. Anche questa volta il regista s’imbatte con figure giovanili, di buona fede, come solo lui osa credere. Su di loro scommette, e lo fa attraverso una narrazione real-ideale, che vede i ‘fighetti’ protagonisti nella rivendicazione politica dei loro diritti. Per giunta al G8 di Genova. Non può esserci altra occasione peggiore come quella di Genova 2001 per parlare dei giovani e dell’impegno politico, pur condividendo in toto ogni forma di partecipazione democratica, se pur di protesta, dei diritti di ognuno. E’ questa la vera Democrazia. Tutto ciò era già chiaro e meglio raccontato nel bel film-documentario della Comencini, Carlo Giuliani, ragazzo.
Per raccontare la Genova del G8, non si può prescindere da un minimo di dettaglio documentaristico, che nel film manca assolutamente. Per questo, Ora o mai più, pur essendo un racconto di formazione, è spietatamente furbo, mascherato da film politico. Gioca la carta dell’identificazione, mediante gli slogans gridati in piazza, delle passioni inseguite, dei bilanci esistenziali che, per fortuna, non tornano mai. In ciò bisogna dare atto al regista, che almeno non mostra così tanta convinzione (almeno così sembra), né con i suoi personaggi prima, ma neanche con i suoi attori. La scelta dello stesso produttore, Domenico Procacci, uno dei migliori e più fortunati in Italia, sta a giustificare quest’operazione di Pellegrini. Procacci conosce alla perfezione i meccanismi del racconto generazionale, sempre più giovanilista, piuttosto che giovanile. E c’è una bella differenza. Basti confrontare gli ultimi Bertolucci, Giordana, Tavarelli, Muccino e giù di lì.
Non si può parlare dei fatti di Genova a ‘senso unico’, mostrando le sole immagini che fanno tanto “inkazzare” giovani e meno giovani, presenti o meno a Genova durante il G8. Non si può parlare di fatti storici di tale importanza, avendo come scopo l’attrazione dei giovani sinistroski universitari (pur non avendo nulla in contrario), come fossimo al Luna Park; peggio ancora l’utilizzazione di certe tematiche tanto care, almeno se così raccontate, ad un certo pubblico ‘giovanilista’, sicuro pretesto di guadagno al botteghino.
Ben altro, invece, erano le storie di giovani alla Jules e Jim (Truffaut), o del giovane Holden, quello dei dolori, che Pellegrini tira in ballo nel suo mediocre film.
Non si può pretendere che per cambiare il mondo basti “provare a dormire sul pavimento di un centro sociale, piuttosto che in una suite del G8” come ci rimprovera lo stesso protagonista del film. Certamente non è neanche segno di buona abitudine rimandare al domani quello che posso fare oggi, specie se si tratta del mio dovere (di studente, di padre, di operaio e di contadino). Questo non è moralismo, neanche perbenismo. E’ l’Ora o il mai più. Il mondo ci sta privando (noi giovani) di ciò che abbiamo di migliore, il diritto di combattere con il “coraggio delle idee” (Pisolini). Per queste c’è solo un tempo, che passa fugace. Carpe diem!
Giancarlo Visitilli
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