Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Venezia 81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Pedro Almodóvar s'è fatto le ossa con due cortometraggi di mezz'ora: "The Human Voice" presentato a Venezia nel 2020 e "Strange Way of Life" portato a Cannes nel 2023. Maturata una sufficiente padronanza con la lingua inglese s'è compiuto per il cineasta spagnolo il tempo di un nuovo esordio cinematografico. "The Room Next Door" è, infatti, il suo primo lungometraggio in inglese.
Per l'occasione Almodóvar si è avvalso dei servigi di due dive: Julianne Moore e Tilda Swinton, quest'ultima alla seconda collaborazione con l'artista.
Il cineasta madrileno ha ambientato il racconto nella cosmopolita e cerebrale New York pur avendo girato gran parte del film in Spagna, soprattutto a San Lorenzo de El Escorial nel "teatro" di "Casa Szoke" che si trova sulle pendici meridionali del Monte Abantos. Nella villa, che si nasconde nel verde della montagna ma si apre al mondo esterno mostrando se stessa attraverso arditi piani modulari dalle forme regolari e vetrate a tutta parete, due amiche trascorrono una movimentata vacanza. Julianne Moore è una scrittrice che incontra dopo molti anni una vecchia amica, reporter di guerra e fotografa, malata di cancro, e con essa condivide, infine, le angosce e le difficoltà della malattia.
Posso solo immaginare il motivo per cui Almodóvar abbia girato il film in inglese. La storia poteva svolgersi in Spagna dove la questione del "fine vita" è già oggetto di un'apposita regolamentazione nonostante le fondamenta del paese poggino sul terreno di una tradizione profondamente cattolica. Perché dunque scegliere gli Stati Uniti per raccontare una storia di amicizia e perdita potenzialmente divisiva?
Penserei al desiderio di ampliare i propri orizzonti ad un contesto più internazionale rispetto a quello che offrirebbe il paese iberico. C'è poi la possibilità che i fratelli Almodóvar abbiano pensato di conquistare l'America con un film che possa uscire dalla nicchia dedicata al cinema d'essai a cui i film europei sono spesso relegati di là dell'Atlantico. Gli americani, si sa, guardano solo film nella propria lingua per cui spesso si assiste al fenomeno produttivo del remake piuttosto che ad una capillare diffusione delle pellicole straniere. Quindi un film in spagnolo sarebbe rimasto lontano dalle sale principali potendo ambire al massimo ad un rifacimento successivo.
Ma c'era davvero bisogno per il maestro spagnolo di tentare l'assalto al mercato americano soprattutto in un contesto produttivo alieno a quello hollywoodiano? Non gode Almodóvar di sufficiente considerazione per potersi esprimere liberamente nella propria lingua?
La scelta di uscire dai confini europei ed ambientare la propria storia nella capitale radical-chic dell'America progressisfa, a mio modesto parere, è frutto di una decisione slegata da questioni esclusivamente economiche. Qualunque siano state le motivazioni la lingua inglese è stata il mezzo per penetrare una società che, piaccia o meno, è faro di tutto l'Occidente. Non mi spingerei ad affermare che gli Stati Uniti siano la bussola morale del presente ma è vero che la società americana è in grado di influenzare chiunque con le proprie prese di coscienza, positive o negative che siano. Dunque un film in lingua inglese può essere lo strumento per creare in America quel dibattito intorno ad un argomento importante che di riflesso possa espandersi a tutto il mondo occidentale. Forse Almodóvar mirava a questo, ovvero piantare il seme del confronto nel terreno giusto. Negli ultimi anni Almodóvar ha messo in secondo piano il sentimentalismo eccessivo del proprio cinema per dare spazio ad una concezione maggiormente politica della propria arte passando dai cowboy omosessuali alle fosse comuni dell'era franchista.
Il "Matador" del cinema iberico arriva, ora, a toccare con "The Room Next Door" uno dei punti più spinosi del dibattito politico ovvero il diritto di porre fine alla propria esistenza. La scelta degli Stati Uniti, potrebbe essere, perciò, una scelta pragmatica per cercare la cassa di risonanza ideale affinché le discussioni sulla materia prendano piede e si allarghino a macchia d'olio agli altri continenti.
Volendo considerare l'aspetto "ideologico" dell'ultima opera almodovariana direi che Casa Szoke rappresenti lo specchio del pensiero politico del regista tanto lineare qunto inequivocabile. L'arredo minimale e spigoloso, gli spazi aperti e nitidi offrono una visione chiara della necessità di eleborare dall'interno una visione precisa dell'argomento trattato. Un'opinione, che nonostante un'aurea protettiva che la circonda necessità di essere comunicata e resa comune.
Il cinema di Almodóvar, tuttavia, e grazie al cielo, non è così geometrico e puntuale. Vive di eccessi, di dolori lancinanti e gioie istintive che esplodono nel design folle e colorato del bizzarro appartamento di Martha dove si è formata la decisione della protagonista. Il cinema del regista madrileno è istintivo e passionale quanto l'abitazione della protagonista dove persino un cassetto può raccontare infinite cose e pulsioni fragorose.
Martha/Tilda Swinton, con il suo carattere robusto e la tempra coraggiosa che la contraddistingue è l'alter-ego del regista e del suo stato d'animo agguerrito ma, allo stesso tempo, intimorito dalla morte e dalla sofferenza da cui nessuno può sottrarsi.
Ad Ingrid/Julianne Moore e allo scettico personaggio incarnato da John Turturro spetta il compito di rappresentare la voce più dubbiosa e ragionevole del pensiero umano, una voce costretta, assai spesso, a scontrarsi con l'assolutismo delle più radicali convenzioni abbracciate, per fare un esempio, del poliziotto Alessandro Nivola. Tornando all'architettura e alle sensazioni che essa ha saputo condensare nell'animo direi che "La porta accanto" è un tentativo riuscito di portare equilibrio tra l'idealismo e la concretezza, tra la razionalità e la veemenza ideologica, tra la pacatezza e l'istinto. Ci sono gli spazi razionali e aperti di una Casa Szoke e il recinto di un loft dell'Upper East Side dove coccolare la propria persona e le proprie idee.
Coniugare la propria innata natura egocentrica e la voglia di esporsi con un argomento tanto delicato ha richiesto un'architettura robusta ma confortevole che il nuovo film di Pedro Almodóvar riesce a condensare con verosimiglianza e maestria. Un risultato affatto scontato.
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