Regia di Sylvain Chomet vedi scheda film
Cominciamo col dire che “Appuntamento a Belleville” è un capolavoro del cinema d’animazione. Assolutamente gradevole sotto tutti i punti di vista. Per un cartoon, si sa, dei bei disegni sono la base. E il film di Chomet da questo punto di vista è al sicuro: i tratti dei disegni sono netti, decisi, bellissimi. In particolare è decisamente caratteristica la scelta (stilistica) di rendere quasi caricaturale alcuni specifici tratti, già accentuati per natura (la lunghezza dello scafo del trasnsatlantico, le cosce supertornite dei corridori, ecc). Predilezione specifica per le predominanze cromatiche: in Francia, i gialli prevalgono, in America il nero (il “noir”) la fa da padrone. La resa cromatica insomma è davvero ottima. La cupezza delle ambientazioni anni ‘30-’40, inoltre, conferisce alla pellicola, già bella di suo, quel tocco in più che la rende un piccolo gioiello nel suo genere.
I dialoghi latitano. È un cinema degli sguardi, delle attese, del pensiero che sovrasta la parola. I protagonisti sono quasi muti. Sulle voci prevalgono musiche e effetti sonori. Quasi una dichiarazione di indipendenza dal cinema d’animazione americano, fatto di personaggi stereotipati che fanno pura pantomima, trasformando ogni gesto in un atto parossistico.
Particolarmente benfatte risultano le ambientazioni: il Tour è tratteggiato con maestria, rendendo al meglio anche le atmosfere di contorno: i francesi a fare picnic nei prati in attesa del passaggio dei ciclisti, la folla che si accalca ad ogni piccolo o grande evento che si verifica lungo il tracciato o all’arrivo dei ciclisti. A Belleville invece gli americani sono in sovrappeso, i panini spadroneggiano, la mafia viaggia in Renault, lo scout alla bastonata reagisce con le tre dita alzate ed il sorriso ebete. Insomma sono i particolari a rendere geniale questo “Appuntamento a Belleville”.
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