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Il tempo dei lupi

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Il tempo dei lupi

di maurizio73
6 stelle

Dopo aver perso il marito, ucciso dall'uomo che ha occupato insieme alla propria famiglia la sua casa nella campagna francese, una donna si ritrova a vagare insieme ai due giovani figli nel paesaggio desolato di un oscuro tempo post-apocalittico, in cui scarseggiano i viveri e la gente si trasferisce sempre più numerosa dalle città combattendo per la sopravvivenza e attendendo il treno che li conduca verso la salvezza.
Tra le allusioni extradiegetiche di una fantascienza sociologica e il marchio di fabbrica di una amara allegoria sulle miserie (e gli splendori) della natura umana, il regista tedesco precipita i personaggi di questo dramma della sopravvivenza nelle angosce ed i tormenti di una lucida disillusione esistenziale, di un dopo e di un altrove che tace sulle cause di una plausibile catastrofe per dissezzionarne, con impietoso cinismo, gli ineluttabili effetti.
Puntando sul rigore di una messa in scena emendata da espliciti riferimenti narrativi e sugli scenari disadorni di una apparente (talora rassicurante)  normalità, Haneke riproduce una sorta di esperimento sociologico in cui emergano chiare pulsioni e desideri, istinti e razionalità, vizi e virtù di una desolata comunità messa di fronte alle scelte radicali che impone la sopravvivenza nell'anno zero di una Terra avvelenata dal fall-out radioattivo e dalla follia umana. Questo radicalismo teorico tuttavia sembra incrinarsi di fronte ad una insensibile deriva sentimentale ed alla irresistibile tentazione di una facile simbologia dell'avvento (la bambina di nome Eva che scrive lettere ad un padre morto,la leggenda di una genie di 'giusti' pronti ad immolarsi per la salvezza del mondo, il treno che corre verso la remota destinazione di un eden verdeggiante) rimarcando i luoghi comuni dell'apologo piuttosto che perseverare sul crinale più difficile e angusto del racconto morale, dove il crudo realismo di una umanità residuale sia l'unica cifra formale a cui riferire gli scarni elementi della narrazione. Plausibile dal punto di vista psicologico, appare forzato nella presunzione didascalica della massima 'Hobbesiana' dell'uomo animale egoista (diremmo meglio predatore) riconducendo la materia trattata alla esemplare dimostrazione di un radicale nichilismo etico (la comunità che si aggrega attorno ad un capo-branco che concupisce le femmine e raziona i viveri, il relativismo morale di assassini che negano la efferetezza del proprio crimine dietro la parvenza di miti patres familiam, il ragazzino irrimediabilmente alienato alla vita sociale) contraddetto dall'amorevole slancio dell'uomo che salva il bambino dall'atroce destino di un 'auto da fè' nel commovente finale. Straordinarie le interpreti femminili tra la maschera impassibile di una intensa Isabelle Huppert e il dolente candore della giovanissima Anaïs Demoustier. Ingenerosi i fischi alla presentazione fuori concorso al 56º Festival di Cannes. Cronache della fine del mondo.
 

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