Regia di Michael Haneke vedi scheda film
Anne Laurent (Isabelle Huppert), il marito e i due piccoli figli arrivano nella loro residenza di campagna. Aprono la porta e scoprono con stupore che ad occuparla c'è un altra famiglia, che ha l'aspetto di chi non se la passa affatto bene e l'aria di chi ha pochissima voglia di perdersi in inutili convenevoli. Quella che nei primissimi minuti sembrava un tranquillo fine settimana fuori porta di un agiata famiglia borghese, si trasforma subito nella precisazione di un male che ha messo solide radici. Anne e i bambini vengono privati del proprio uomo con una facilità irrisoria : perchè è così che ormai vanno le cose, la gratuità della morte ha dissipato gli ultimi residui del valore della vita e farsi domande sui perchè e i per come si è arrivati a tanto toglie tempo prezioso all'impellente necessità di sopravvivere per qualche giorno ancora.
Questo è l'inferno in terra costruito dagli uomini, questo è il tempo dei lupi che approssima un'altra Apocalisse, quello in cui l'uomo ritorna allo stato brado, solo con se stesso, libero di lasciarsi guidare dai propri istinti primordiali e di scoprisri in balia di un mondo brutalizzato dall'assoluta mancanza di regole. Anne e i ragazzi vagano in giro in evidente stato confusionale, avvinti dall'atmosfera straniante che li circonda, senza una meta verso cui tendere e con l'unico scopo di allontanarsi dai pericoli. Ma il pericolo è ovunque in quella terra desolatamente spoglia d'amore, ogni cosa può nascondere un insidia e ogni persona che si incontra lungo la strada può scoprirsi un potenziale nemico. Nella loro medesima condizione ci sono tante altre persone, riunitesi in gruppo per sentirsi più forti e più protette, parlano di "nuovi padroni" e di un certo signor Koslowski (Olivier Gourmet) che organizza ciò che resta delle loro vite sbandate, della necessità di rimanere uniti e del bisogno impellente di approviggionarsi d'acqua, di luoghi lontani più sicuri e di un treno che potrebbe portarceli. Nessun accenno a chi e come si era prima e cosa ne sarà dopo di ognuno di loro, ai motivi che hanno prodotto lo stato di imbarbarimento in corso e ai rimedi da adottare per porvi un freno. Tutto sembra essere accettato con estrema naturalezza, come l'effetto inevitabile di una catastrofe identitaria ampiamente annunciata, come l'amplificata precisazione di un involuzione genetica coltivata per troppo tempo e con tanta cura. La sensazione è quella di una smobilitazione generale, di un fuggi fuggi tanto tardivo quanto disordinato, inniettata con disturbante freddezza analitica e ostentata gravità dei toni. Penso che "Il tempo dei lupi" sia un film abbastanza paradigmatico dell'intera filmografia di Michael Haneke, un autore che altrove ha certamente raggiunto livelli superiori (penso a "Funny Games", "La pianista", "Niente da nascondere", "Il nastro bianco") ma che qui precisa in maniera assai compiuta, direi, alcuni tratti tipici e fondamentali del suo modo di fare cinema e penso in particolare a quella "bellezza antiestetica" dovuta alla radicalità delle sue scelte stilistiche o all'esposizione "glaciale" delle nevrosi dell'uomo contemporaneo, che in mano a lui acquistano una corporalità assai marcata, diventando qualcosa di più tangibile ed esteso, riconducibili, perciò, più a dinamiche di natura sociale che a problematiche di tipo esistenziale. Haneke è un autore troppo immerso nel suo tempo per non volerne volutamente inscenare i germi involutivi che vi si annidano, quelli che corrodono le strutture portanti della società degli uomini fino a corromperle del tutto. Parafrasando Mauro Gervasini, credo si possa affermare che il cinema dell'autore austriaco sia, oggi più che mai, prim'ancora che bello, oltremodo necessario.
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