Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
È da un po’ che Greenaway non perde occasione di dichiarare che il cinema è morto, che non si possono più raccontare storie come i film hanno sempre fatto, che gli schermi devono trasformarsi in pareti di gallerie d’arte, di un’Arte Visiva e Digitale, frutto della composizione, sovrapposizione e decomposizione di immagini ottenute secondo le videotecniche più avanzate. Il Nuovo Regista, cioè lui, è un collezionista di immagini realvirtuali, un classificatore di oggetti, un appassionato di numerologia, un affastellatore di personaggi. La Grande Impresa di Greenaway è divisa in tre parti: questa prima era in concorso a Cannes; la terza parte l’abbiamo vista a Venezia; la seconda, girata per ultima, è quasi pronta. Protagonista della trilogia è un certo Tulse Luper, abbonato alle prigioni di mezzo pianeta, possessore di ben 92 valigie, osservatore della storia del mondo dal 1928, quando scoprono l’uranio in Colorado, fino al 1989 quando cade il Muro di Berlino. Possiamo sbagliarci, anzi: ci sbagliamo di sicuro, ma dell’eleganza, della raffinatezza, delle sperimentazioni iconiche e di tutte le altre cianfrusaglie di Greenaway non sappiamo che farcene.
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