Regia di François Ozon vedi scheda film
Da quello che è attualmente, forse, il regista francese più cinefilo (se vogliamo in un’ottica anche fin troppo candidamente morbosa) ci si aspetta sempre tanto. Nell’arco della sua più che decennale carriera, Ozon ha affrontato un po’ di tutto: Fassbinder e Olivia de Havilland, Truffaut e Hitchcock, Demy e De Sica, Bette Davis e Solondz; dal mèlo al musical, dal dramma alla commedia. Qui raggiunge una brillante alchimia tra il mèlo, tutto sommato suo genere di riferimento e declinato in vari modi, e il noir, accarezzato nella seconda parte con una inquietante delicatezza.
Al centro della scena ci sono una scrittrice inglese di gialli che viene dirottata in Francia dal proprio editore per ritrovare l’ispirazione perduta e la libertina e poco equilibrata figlia del di lei editore. Impostato come un duetto che nasce in quanto scontro e si evolve in ineluttabile complicità, il film non sorprende realmente mai, ma ha il suo punto di forza nella crescita del personaggio di Sarah, disegnato da una Charlotte Rampling in stato di grazia: annoiata dalla vita, si ritrova d’improvviso in un eccitamento derivato dall’esaltazione di trovarsi in una storia che avrebbe potuto scrivere lei stessa.
Diventa quindi intraprendente, risorge sulle ceneri della nausea e del turbamento, si fa sacerdotessa della morbosità più anglosassone possibile. Elemento di rottura è la splendida Ludivine Sagnier, opposto di Sarah e con un background da mani nei capelli. Piacevolissimo e finanche divertente, non è stato amato da chi pretendeva colpi di scena a profusione o sorprese ad effetto: si può anche fare un film su delle banalità, l’importante è farlo bene. Ad Ozon la ciambella esce col buco e io, francamente, la mangio con gusto senza farmi troppe domande.
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