Regia di Vincent Gallo vedi scheda film
Il cinema di Vincent Gallo è letteralmente intriso d’amore. E il suo è uno sguardo di accecante lucidità. Il suoi film riescono nella difficile impresa di cogliere il senso più vero di questo sentimento, tanto sbandierato al cinema ma così difficile da tradurre in immagini con la dovuta sincerità. Un tema comune al precedente Buffalo 66, straordinario film che rivelò il talento da regista di Gallo, attore già coraggioso nelle sue scelte interpretative – giusto per ricordarlo, ha lavorato con maestri assoluti del cinema d’autore, come Jerzy Skolimowski, Claire Denis, Francis Ford Coppola e Abel Ferrara. Quasi specularmente, Brown Bunny rappresenta “l’altro lato della medaglia” di Buffalo 66. Se entrambi i film parlano di amore, il primo ci racconta “l’incontro”, il secondo, “la perdità”. Brown Bunny è, infatti, un film tanto lirico quanto disperato. Gallo realizza un film spoglio, minimale, essenziale, ma sempre emotivamente teso. Cosa sta cercando Bud nei suoi incontri casuali? Cosa è dovuto il suo eterno errare senza una meta precisa? Il film accumula domande che lo spettatore non riesce a penetrare, se non nel catartico finale. La macchina da presa si lega indissolubilmente al protagonista, spingendosi senza mediazioni verso i primi piani, e anticipando l’irruenza visiva della fellatio finale, che si configura dunque non come elemento estraneo al film, ma come il suo naturale sviluppo. Un film sospeso, dai dialoghi scarni e difficilmente udibili, quasi sussurrati. A scandire il tempo di questo on the road ci sono le canzoni, bellissime, che commentano le “immagini in movimento” della valley americana.
Vincent Gallo realizza dunque un film profondament autoriale, quasi un autoritratto, curando praticamente tutti gli aspetti del film, dalla fotografia al montaggio, fino alla sceneggiatura. Un film che si deve vivere, accettare fino in fondo, per poterlo apprezzare veramente. Perché la sincerità dello sguardo di Gallo è qualcosa di terribilmente raro, oggi giorno.
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