Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
"Notte Stellata" è un Van Gogh. "Mystic River" è un Clint Eastwood. C'è poco da dire. C'è poco da fare gli intellettuali e lanciarsi in chissà quali masturbazioni mentali per cercare motivi, fonti, sensi, che il film di Eastwood possa avere alle spalle. Questo è cinema, nella sua accezione più classica, ma al al tempo stesso più introspettiva. Ho sempre guardato con riserve il cinema impegnato, sociale, o politico, quando è fine a se stesso. Ma altrettantamente con riserve guardo quel cinema fracassone e da solo botteghino. Eastwood fa invece quel cinema che s'allontana dalla logica del box office così come si allontana dalle ambizioni d'autori impegnati (sempre e solo impegnati). Il vecchio Clint, con la saggezza dovuta all'età, e che quindi buona parte di noi si sogna, riesce ancora a fare un cinema artigianale, classico, composto, che però ha le profondità di quel cinema che ci rimane nella pelle, intrappolato da noi stessi, che non vogliamo assolutamente lasciarlo scappare. Perchè? Perchè ci serve. Già, ci serve.
Guardare "Mystic River" è come cacciarsi una mano in gola che ti rovista dappertutto, e poi ti tira fuori tutto ciò che hai in te. Non è un film violento, o pesante in ciò che mostra, proprio perchè non lo mostra. Eastwood è riuscito là dove Wenders con "The End of Violence" aveva toppato. Probabilmente anche Gus Van Sant con Elephant ci è riuscito. Parabolizzare la violenza raccontanto degli uomini che la vivono, senza dover mostrare violenze degeneranti che ti inorridiscono. Non dico che non si debba fare, a me personalmente piacciono parecchio anche le soluzioni più malate, ma la via di Eastwood è efficace ugualmente. Per tutto l'arco del film si ha la sensazione di essere soli. Gli stessi protagonisti lo ricordano più volte. La solitudine, il sentirsi soli, sentirsi come degli alieni.
Se è vero che abbiam perso l'innocenza, che se n'è andata via rapita da una macchina, è anche vero che ormai i grandi piangono come i bambini, e i bambini uccidono come i grandi. Abbiamo rotto qualcosa. Abbiamo inclinato qualcosa. Qualcosa d'imporante l'abbiamo spezzato. Gli abbiamo sostituito di tutto. Abbiam creduto che la scienza e la manipolazione genetica facessero trionfare l'uomo. Abbiamo creduto che le religioni da vendere durante i talk show fossero la strada per la salvezza. Abbiamo creduto che la politica fosse il compromesso per la serenità. Abbiamo creduto che uccidere un uomo sulla sedia elettrica fosse giusto, e ucciderlo con aborto ed eutanasia pure. Abbiamo creduto, e lo crediamo ancora, che la scuola debba sputare piccoli automi che dicano sempre di sì. Abbiamo creduto spudoratamente che un morto ammazzato facesse notizia, mentre il nudo maschile fosse ancora un tabù. Abbiamo creduto che i buoni sono quelli belli e puliti e a stelle e strisce, mentre i cattivi eravamo sempre noi: troppo provinciali per riscattarci. Siamo tutt'ora convinti che ciò che mostriamo valga di più di ciò che siamo, che le nostre convenzioni ci possono salvare dalle nostre irregolarità.
Se è vero che abbiam perso l'innocenza, è anche vero che un uomo importante e semplice come Mr. Eastwood ci ricorda che l'abbiam voluto noi. Eravamo noi che guidavamo quella macchina, più di 20 anni fa.
Abbiamo creduto tutto questo, è vero, ma possiamo anche non crederci più. Basterebbe scendere dalla macchina. E subito.
Grazie vecchio Clint.
Più consono alle parti da cattivo, riesce proprio per questo a suggestionare molto di più quando lo vediamo essere il personaggio più convinto della decadenza a cui tutti e tre i personaggi sono soggetti. E' particolarmente intenso, ed è sempre in procinto di rivelarsi per quello che è: un grande che piange come un bambino, in un mondo di bambini che uccidono come i grandi.
Veramente grande. Fa tenerezza questo padre, grande e grosso, ma impacciato come un bimbo. Il suo passato lo divora giorno dopo giorno. Robbins, che non è proprio un signor attore, ha saputo semplicemente impersonare il capretto sacrificale di una società troppo piena di sè per cercare le vere colpe dei propri problemi. L'innocenza persa, l'abbiamo voluta noi.
Un viso ed una interpretazione rubata a De Niro, ma anche giustamente. Rimane uno dei migliori outsider che l'America del cinema ci abbia regalato. Un uomo alla deriva, come gli altri due del resto, e che nonostante i suoi atti più crudeli, riesce a farci compagnia. L'empatia che scatta tra spettatore e Sean Penn non è un caso; noi tutti siamo un po' colpevoli dell'innocenza che abbiam perso.
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