Regia di Denys Arcand vedi scheda film
Come ne Il declino dell’impero americano, i titoli di testa sono accompagnati da una lunga carrellata in avanti della cinepresa, ma questa volta lo spettacolo inquadrato è ben diverso: i corridoi di un ospedale, pieni di malati. Uno dei personaggi del film precedente, Rémy, ha un tumore e gli resta poco da vivere: al suo capezzale accorrono ex moglie, figlio (proveniente da Londra, con fidanzata francese al seguito) e amici. Ovviamente la situazione offre lo spunto per un bilancio esistenziale, che si allarga a considerazioni generali. Chi sono i barbari del titolo? i terroristi islamici che muovono all’assalto dell’occidente, ci spiega semplicisticamente una delle prime sequenze. Ma possono essere anche i giovani (“arrivano i barbari, ecco il loro principe”, dice Rémy mentre il figlio si avvicina), con i loro mestieri e i loro stili di vita che i genitori, per quanto progressisti e illuminati, non riescono a comprendere. I vecchi amici si muovono in un mondo allegramente postideologico (in una scena un po’ didascalica ripercorrono tutti gli -ismi in cui hanno creduto), nel quale l’unica cosa che conta pare sia il denaro (il figlio può comprare tutto: l’accondiscendenza di dirigenti sanitari e sindacalisti, cure migliori per il padre, l’eroina per alleviargli il dolore, le visite dei suoi ex allievi universitari); ma circola anche una certa voglia di abbattere steccati (il bacio fra il broker e la tossicodipendente, che non arriva a sconvolgere gli equilibri ma segna comunque il riconoscimento di una sotterranea attrazione). C’è qualche forzatura (la svendita delle immagini sacre che non hanno più mercato, il finale a tesi sull’eutanasia) e tutto sommato, della trilogia ‘barbarica’, è forse l’anello più debole; ma resta un ottimo film.
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