Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Elephant non commuove, non destabilizza, non coinvolge e non sconvolge. È noioso, asettico e pretenzioso, come quasi tutti i film che vincono a Cannes.
Sì, ci sono alcuni bei momenti e alcune belle inquadrature, di quelle perfette per i trenta secondi di un trailer accattivante ma niente di più. Il film, nel suo insieme, è veramente difficile da mandare giù.
Non se ne può più dei siparietti con il nome del protagonista, non se ne può più della stessa storia vista da diversi punti di vista. Alla quarta volta che senti ripetere le stesse battute ti verrebbe voglia di ordinare un bazooka su internet, distruggere il set e sterminare la troupe. Sarebbe tutto più accettabile se il regista fosse un diciottene sconosciuto che ha girato con la sua telecamerina digitale ma se c’è la firma di Gus Van Sant tutto assume un aspetto sinistro. E poi basta, l’abbiamo capito che in America fanno una vita triste, che le famiglie sono sfasciate, che i giovani non hanno ideali, insomma che tutto è uno schifo. Un tempo i registi, quelli seri, facevano i film di denuncia, che ti mettevano in guardia sul fatto che certe cose sarebbero potute succedere, ora si limitano ad assistere allo sfacelo, dopo che si è compiuto, senza neanche la forza di commentare. Limitarsi a rimettere in scena il massacro di Columbine con questo sguardo attonito è vagamente offensivo. Una vicenda come questa andrebbe restituita al pubblico scavando dentro le case, vivisezionando e scarnificando le famiglie, sparando in faccia allo spettatore senza pietà.
Dall’inevitabile confronto con “Bowling for Columbine”, manco a dirlo, Elephant esce perdente...
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