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Opus - Venera la tua stella

Regia di Mark Anthony Green vedi scheda film

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La recensione su Opus - Venera la tua stella

di supadany
5 stelle

Nella nefasta epoca delle apparenze, la verità interessa a poche voci emarginate dal coro e chi gode di buona stampa, e/o dei favori della folla adorante/starnazzante, usufruisce di uno status di venerazione fuori dalla norma, tale da consentirgli di poter dire e fare più o meno quello che vuole passando per genio anche quando i meriti sono – a toccarla piano - quantomeno discutibili. Pertanto, come se fossimo vittime di un lavaggio del cervello generalizzato, la guardia viene abbassata di sana pianta e qualsiasi forma (auto)critica viene messa all’angolo, in netta minoranza se non direttamente annichilita alla fonte.

In Opus emergono svariati guasti che abbiamo imparato a osservare, ma non a fronteggiare con le contromisure necessarie. Un film che vanta argomentazioni e caratteristiche significative ma che, pur mettendo parecchia carne sul fuoco, ne valorizza solo una minima parte, imbrigliato da un’impostazione più accumulativa che specifica, dai riflessi annebbiati.

Dopo molti anni di assenza dalle scene, Alfred Moretti (John MalkovichLe relazioni pericolose, Nel centro del mirino), un cantante di straordinario successo, è pronto a lanciare il nuovo e atteso album.

Per l’occasione, prepara un week end di festeggiamenti e invita nel suo ranch un gruppo ristretto di esperti in materia musicale, tra i quali figurano il navigato Stan Sullivan (Murray BartlettThe White Lotus, Ecco a voi i Chippendales) e, a sorpresa, la sua aiutante Ariel Ecton (Ayo EdebiriThe Bear, Bottoms), nonché l’esuberante Clara Armstrong (Juliette LewisAssassini nati, Cape Fear).

Mentre tutti gli ospiti si godono un happening sfarzoso, accerchiati e accuditi dai seguaci di Moretti, sarà proprio la giovane Ariel l’unica ad accorgersi che sta accadendo qualcosa di strano, che con il passare delle ore diviene sempre più allarmante.

Toccherà a lei trovare il modo per rendere di pubblico dominio quanto successo e cosa potrebbe ancora accadere su una più larga scala.

 

 

Ayo Edebiri

Opus - Venera la tua stella (2024): Ayo Edebiri

 

 

Al suo esordio alla regia, Mark Anthony Green, uno che nelle sue esperienze precedenti ha intervistato parecchie star, imbastisce un cerimoniere ricco di venature/influenze/associazioni, che segue determinate dinamiche ricorrenti nel cinema proposto dalla A24, che lo ha acquisito dopo la presentazione avvenuta al Sundance Film Festival del 2025.

Quindi, è facile scorgere varie somiglianze con Midsommar – Il villaggio dei dannati, per un ritrovo fuori dal mondo, per i modi che si spostano gradualmente dalla spensieratezza all’inquietudine, per un processo di eliminazione e per una sostanziale incapacità di comprendere il pericolo in arrivo, quantunque il risultato finale sia di tutt’altro effetto.

In pratica, Opus centrifuga sensazioni e devianze, incantatori astuti/diabolici e voci discordanti, luce e oscurità, vorrebbe spiazzare ma, alla resa dei conti, vi riesce solo in sporadiche occasioni, che peraltro si esauriscono rapidamente. Di fatto, predispone un piano inclinato che lascia intravedere quanto avverrà senza riuscire a far saltare il banco, indubbiamente snocciola segmenti curiosi (tra ostriche da aprire e richieste assurde, come la rasatura delle parte intime) ma non trova quasi mai – e forse nemmeno vuole farlo - la maniera per rendere continua/solida la processione.

Dunque, (soprav)vive di episodi, deforma e ritaglia la cornice, mentre difetta sempre di un bilanciamento costruttivo, con un composto suscettibile, invasivo ed elusivo, nel quale spiccano le musiche di Nile Rodgers e di The-Dream così come i costumi di Shirley Kurata (Everything everywhere all at once), che si brucia gratuitamente parecchie cartucce, ad esempio con troppi personaggi/fatti scarsamente sviluppati, rinunciando anche a imprimere una maggior connotazione thriller/horror (in tal senso, non vengono definite gran parte delle dipartite).

Viceversa, l’incontro/scontro tra le proiezioni dark di Alfred e quelle della ragione assegnate ad Ariel, intramezzate da macchinazioni surreali che sarebbe dannoso svelare (non che siano così sorprendenti), sono una manna dal cielo e possono contare su una vivace/audace definizione che John Malkovich e Ayo Edebiri rendono con squillante efficacia, con il primo che svetta in virtù di un pervasivo istrionismo (ci crede più dell’autore stesso), mentre la seconda ci mette anima e corpo, per quanto finisca anch’ella per eccedere nelle espressioni quando probabilmente sarebbe stato più congruo/remunerativo andare in contrapposizione.

 

 

John Malkovich

Opus - Venera la tua stella (2024): John Malkovich

 

 

In conclusione, Opus attua una reazione chimica di seconda mano, componibile e sfaccettata, isterica e ostinata, che non ottiene i risultati sperati. Tra giocate fini a se stesse e tempi di cottura che lasciano perplessi, incursioni invitanti e colpi sparati a salve, gradi di separazione e uno scarso respiro, mette più volte - e temporaneamente - in soggezione ma il potenziale risulta tuttavia inespresso.

Con tanto fumo e poco arrosto, rituali estroversi e una mira in troppi casi sbilenca/prevedibile, pensieri depotenziati e bruschi risvegli, nonostante sulla pista di atterraggio rilasci inquietudini che non dovrebbero lasciar tranquilli.

Mutevole e dissonante, vistoso ma anche terribilmente aleatorio/illustrativo, vittima di un’impostazione sostanzialmente anestetizzata.

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