Regia di Piero Sanna vedi scheda film
La destinazione è la storia della crescita di un giovane romagnolo nell’Arma dei carabinieri e soprattutto in un paesino della Sardegna, il luogo dov’è stato destinato.
Piero Sanna, al suo esordio nel lungometraggio di finzione, è un sessantenne brigadiere dei carabinieri, che cerca di seguire le orme del suo maestro, Olmi, ma anche di ritagliarsi un proprio modo di vedere e raccontare. La sua regia e il suo montaggio procedono nel solco di una corretta tradizione, il che non è male, anche se alcuni momenti avrebbero meritato altre scelte. È il caso della sequenza dell’addestramento: così com’è mostrata, in brevi scene, sembra tratta da uno di quei documentari che fanno a vedere ai ragazzi in attesa nelle caserme nei giorni delle visite di leva. Tutto il film, in effetti, viaggia su un doppio binario di sguardi, uno documentaristico e uno più creativo che oltre ad Olmi fa anche pensare a Bresson. Le due parti, soprattutto narrativamente, non si amalgamano molto bene e ciò, purtroppo, accade per quasi tutto il film.
La destinazione sembra volerci raccontare, all’inizio, il confronto tra due giovani carabinieri, uno romagnolo e l’altro sardo. Poi il secondo sparisce e ci soffermiamo solo sul ragazzo del Nord mandato in Sardegna. Ad un certo punto però passa in secondo piano anche questo e il punto di vista diventa genericamente cronachistico. Il film comincia a narrare, tutto sommato bene, un fatto di sangue (due ragazzi per rubare delle pecore ammazzano un pastore ignorando che il figlio di questi li sta guardando). Nel corso di questa vicenda il carabiniere rispunta di tanto in tanto, soprattutto grazie ad un lieve parentesi sentimentale malamente appiccicata all’interno del film. Ma solo alla fine il giovane riacquista il suo ruolo e la sua storia personale si amalgama bene con la vicenda di cronaca e il suo disperato finale.
Insomma, la sceneggiatura ha non pochi problemi di struttura e contenuti. È vero che Sanna conosce l’ambiente di cui parla, ma non sempre riesce a trovare il modo migliore per raccontarlo. Dal punto di vista della regia invece, la correttezza del suo stile si ritaglia anche due momenti senz’altro interessanti. Il primo è la conclusione dell’omicidio del pastore: senza quasi mostrare violenza, Sanna preferisce soffermarsi su un contenitore di latte bucato da cui esce lentamente il suo contenuto come fosse il sangue del morto. L’altro momento, questo più complesso e anche più bello e significativo del precedente, è tutta la sequenza finale: in cui ci viene mostrata la celebrazione di un rito religioso relativo alla passione di Gesù (quando il corpo di Cristo viene deposto dalla croce). La ricostruzione dell’evento, con questa statua le cui braccia si abbassano quando i polsi sono staccati dalle assi della croce, il coro in dialetto sardo e lo stile solenne e pittorico della regia, conferiscono magnetismo a tutta la scena. Ma la bellezza visiva va oltre, riempiendosi di significato e anticipazione poiché racconta in parallelo le strane sensazioni che s’impadroniscono della vedova del pastore e del giovane carabiniere romagnolo nell’istante in cui si precipitano nella casa del pastore dove si troveranno di fronte ad un’aspra tragedia. Il viaggio di maturità del carabiniere è compiuto e ora è pronto ad un’altra destinazione.
Nel complesso, pur essendo un film squilibrato per questioni narrative, la visione non è difficoltosa, né risulta noiosa. La destinazione è un film tutto sommato interessante, un esordio sincero seppure discreto, ìmperfetto, ma mai del tutto banale.
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