Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Una fiction da prima serata RaiUno, per quanto le protagoniste investano molto su se stesse e, paradossalmente, la regia barbosa e lineare (almeno di questo Ozpetek) non le esalti, producendosi anche in un iperbolico tentativo di metacinema dove il regista chiede pareri alle attrici mentre studiano il copione, e neanche lui sembra sapere che film vada girando.
Caratteri scolpiti con l’accetta in questa sartoria romana anni ‘70 che ambisce a conferme e lancio definitivo in campo costumista teatrale e cinematografico.
L’intero scibile di microcosmi stereotipati delle infinite protagoniste femminili, rivela ogni genere di vicenda familiare ma questa indagine di condizione della donna passa spesso (evidente pecca registica) attraverso il confronto con figurine maschili, tutte legate a ridicole macchiette di contorno, ancor meno espressive dei manichini di prova.
Ogni turbamento, qualsiasi problematica o disagio si stemperano nella comunanza lavorativa che lega il gruppo nel suo iter creativo e in una solidarietà tutta femminile, dall’ultima delle sartine fino alla “capa” che vorrebbe giocare al diavolo che veste Prada finendo al massimo nel paradiso delle signore; ma ogni singolo evento finisce per evidenziare “smodati” (particolarmente contraddittorio per un atelier..) contorni melodrammatici conditi dalle solite tavolate amate da Ferzan, intermezzi musicali d’epoca e stucchevole prevedibilità: dal marito violento al bambino parcheggiato nella stanza dei bottoni, dalle attrici boriose, alla costumista isterica, fino all’exploit finale con un mega vestito iperrealista che neanche al carnevale di Viareggio avrebbe ottenuto il pass, cucito di nascosto durante il pranzo di anniversario della sartoria - altra barzelletta inaccettabile -, che equipara la struttura narrativa ancora più fortemente a livelli di soap turca.
Tra le infinite protagoniste femminili salvo Geppi Cucciari che fa esattamente il suo, alla faccia del copione. In verità lo fa anche Mara Venier, e infatti la boccio. Per lo stesso motivo.
“Quello che siamo va oltre la memoria e la vita. Questa è l’eternità. Questo il cinema”. Quello di Ozpetek, per fortuna, si ferma un po’ prima.
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