Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Dopo “Le onde del destino”, “Idioti” e “Dancer in the dark”, un’altra provocatoria parabola del regista danese sullo sfruttamento, l’avidità e la ferocia degli esseri umani, a cui si accompagna stavolta una cupa vendetta finale che non era contemplata nelle opere precedenti.
Interamente realizzato all’interno di un set in un teatro di posa dove le case e le strade della cittadina che dà il titolo sono disegnate col gesso sul pavimento, “Dogville” è un esempio di teatro filmato, ma dichiarato ed esplicito ad ogni inquadratura, con un netto rifiuto del realismo della rappresentazione e una presa di posizione stilistica che si situa esattamente agli antipodi dei principi adottati dal regista ai tempi del “Dogma”. Eppure, nonostante questa palese tendenza all’astrazione e la volontà di mischiare le risorse del linguaggio cinematografico a quelle del teatro e della letteratura ( il regista ha parlato di “cinema fusionale”), il film riesce a coinvolgere ugualmente lo spettatore, a comunicargli emozioni e a farlo rispecchiare in un universo simbolico da cui trasuda una visione del mondo disperata e pessimista. E’ un’opera destinata a dividere profondamente il pubblico e la critica, come tutti i film di Von Trier, ma, a mio parere, stavolta la sincerità dell’ispirazione del regista è autentica e travalica gli artifici della messinscena senza per questo barare con lo spettatore, che viene messo di fronte a una squallida vicenda di carità pelosa, di violenza e di inganno, peraltro leggibile a diversi livelli. L’arrivo di Grace (“grazia”) a Dogville (“città del cane”) viene indicato dalla voce narrante come un dono elargito alla piccola comunità, che, però, schiava dell’egoismo e di interessi gretti e meschini, non saprà approfittarne nella maniera adeguata, calpestandola e schiavizzandola fino al momento in cui la vittima si trasformerà in carnefice, disgustata dalla falsità e dall’ipocrisia che hanno contagiato perfino l’unico giovane che si era sempre schierato dalla sua parte.
Alla riuscita di “Dogville” contribuisce in maniera determinante l’apporto di un cast ispirato, dove accanto a vecchie glorie del cinema americano come Ben Gazzarra e Lauren Bacall si muove con sicurezza una Kidman perfettamente all’altezza del difficile ruolo, oltre ad un’innegabile maestria nelle scelte luministiche e fotografiche che a tratti crea un’atmosfera di profonda suggestione. Nel complesso, un film da vedere per riflettere sull’ambiguità dei rapporti umani e sulla tentazione di ricorrere al potere per schiacciare le persone indifese che, risucchiate dalla spirale di violenza, possono ribellarsi ricorrendo all’orribile formula dell’ “occhio per occhio dente per dente”. 8
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