Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Von Trier incontra l'America, ma non fa l'americano. "Dogville" è un film kafkiano che più kafkiano non si può, con quella sua normalità dell'aberrazione, dove la normalità si trasforma in mostruosità con indifferenza, quasi senza farci caso, accettata dalla/e vittima/e in maniera rassegnata e senza minimamente ribellarsi. Vi sono reminiscenze anche del "Paese dei ciechi" di H. G. Wells, con quella comunità isolata e arrampicata sulle montagne, ed anche, mi sembra, del "Deserto dei Tartari" di Buzzati, con l'attesa di quelle macchine che devono arrivare dalla città.
Se dovessi dire se il film è un capolavoro oppure no, direi che secondo me non lo è: l'inizio è troppo lento ad ingranare e con quella messinscena di stampo teatrale brechtiano dà per un buon tratto la fastidiosa impressione di una storiella ambientata nel mondo dei Playmobil. La parte centrale è la migliore, con le fughe mancate, le false accuse, i ricatti, i tradimenti. Il finale da angelo sterminatore, determinato da un padre gangster sentenzioso e fumettistico, non mi è piaciuto. Come spesso accade, i registi rifiutano di tagliare qualche metro di pellicola, non facendo il bene del film. Non è vero, comunque, o almeno non lo è più, che Von Trier o si ama o si odia: per me si può amare un suo film senza idolatrarlo e lo si può criticare senza per questo odiarlo.
Avrei tagliato dieci minuti nel finale.
Nicole Kidman è bravissima, come al solito, ma addirittura eccezionale è Ben Gazzara: ma è diventato cieco davvero?
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