Regia di Lars von Trier vedi scheda film
"C'è parecchio da fare qui a Dogville, considerando che nessuno ha bisogno di niente!"
-Grace
Negli ultimi anni il regista e autore danese Lars Von Trier è diventato uno dei miei preferiti in assoluto.
L'aura di malinconia che permea all'interno delle sue pellicole è devastante: basti considerare alcuni lavori dei primi anni come la Trilogia del Cuore d'Oro, composta da tre capisaldi della sua filmografia ("Le onde del destino", "Idioti" e "Dancer in the Dark") appartenenti tra l'altro alla corrente cinematografica ideata assieme al collega Thomas Vinterberg, ossia il Dogma 95, che abbandona qualsiasi stilema cinematografico di valore tecnico per avvicinarsi sempre di più all'empatia dello spettatore, gettandogli in faccia continui richiami alla pesantezza della vita quotidiana, alla sofferenza dei suoi protagonisti e alla depressione che ne consegue. Col tempo i suoi film si sono sparsi manco fossero un passaparola e in poco tempo sono divenuti dei veri e propri cult. Fra i citati è giusto menzionare questa fatica di Ercole colossale, composta da macro-elementi di vontrieriana natura che ritornano prepotentemente a galla.
In "Dogville", pellicola del 2003 con protagonisti Nicole Kidman - in uno dei suoi migliori ruoli di sempre - Harriet Anderson, Stellan Skarsgard, Patricia Clarkson, Lauren Bacall ed una marea di personaggi secondari che fanno di questa pellicola una sorta di "Guerra e Pace" cinematografico. Laddove l'opera di Tolstoj presentava un contesto storico, un'ambientazione ed una satira di costume totalmente differenti, i caratteri descritti all'interno del film sono ancor più paranoici di quelli delle precedenti pellicole del regista: Dogville è una cittadella offuscata nelle Montagne Rocciose statunitensi e ricolma di un profondo rancore da parte dei suoi abitanti, oramai dediti ad uno stile di vita monotono, insipido e noioso sino al midollo. La particolarità della città deriva dalla sua visuale: difatti il regista immortala, nei primissimi minuti di pellicola, quello che è il pianosequenza più iconico del suo operato, ossia un'estesa inquadratura dall'alto che si avvicina pian piano all'interno di una delle case di Dogville, questa abitata dal protagonista Thomas - interpretato da Paul Bettany - filosofo di professione e figura di punta del paese. La quiete in città viene stravolta dall'arrivo di Grace Mulligan, interpretata da Nicole Kidman, una giovane donna che è costretta a nascondersi dalla polizia per motivi sconosciuti ai più: dapprima Grace viene accolta dai cittadini ma inizia a crearsi lentamente un'atmosfera di tensione tra gli stessi che fa impallidire Thomas, questi invaghito della sua figura.
La maestria di Von Trier è indiscussa. Riuscire ad unire le gesta delle proprie opere precedenti per inserirle in un contesto avanguardistico - se non postmoderno - di messa in scena è indubbiamente geniale e fuori dal comune: se nei film dogma per antitesi avevamo visto il nostro destreggiarsi in quella che si poteva considerare una vera e propria provocazione al cinema di intrattenimento contemporaneo, orientato dai suoi invasivi e onnipresenti effetti speciali e poco dallo spessore della trama principale, qui il regista trova una propria zona comfort, ma invece di godersela per sé decide di dichiararla neanche fosse una guerra nei confronti dello spettatore, per cui vi sono continui giochi col ritmo altalenante, con le riprese con camera a mano molto frequenti, con la fotografia focosamente diurna e contemporaneamente flebile e notturna, con gli spasimi di montaggio ed una regia degli interpreti fenomenale. Con "Dogville", Lars Von Trier dirige una pellicola non per tutti, certamente, ma sorprendente dal punto di vista concettuale, tecnico e di messa in scena, quest'ultima probabilmente una delle più originali degli ultimi vent'anni: che la sua sia un'opera da tramandare nei libri di storia del cinema è ovvio anche ai muri e, col tempo, pubblico e critica lo hanno finalmente capito, perché Von Trier non è solo futile provocazione visiva ma profonda analisi della psiche umana, radicata nei suoi sentimenti più odiosi e meschini che vengono risaltati all'interno dei film dell'autore, che forse più di tutti ha il coraggio di mettere a nudo la malignità e avidità dell'essere umano, per cui lo schifo non ha mai fine e si è sempre pronti a vedere il peggio sullo schermo. Il ruolo della donna, tematica molto a cuore da parte dell'autore, è quello che più ne soffre tra questi: la soffocante e tragica interpretazione della Kidman ne è il risultato sperato e lo si evince dalla semplicità con la quale l'attrice si impersonifica nel suo fragile ruolo, dando quasi per scontato di ritrovarsi all'interno di un set cinematografico. Inoltre in "Dogville" possiamo assaporare la metafora dell'obbedienza, di come una volta entrato a far parte della comunità l'individuo oppresso debba perire sino allo sfinimento, come a dimostrare una graditudine guadagnata verso i cittadini, che non hanno e non avranno mai pietà pur di mettere da parte il proprio orgoglio. Meravigliose le musiche che riprendono le overture di Vivaldi, perfette ed intramontabili le imponenti scenografie di Peter Grant, per non parlare della sconvolgente e rosea fotografia di Anthony Mandle e - ovviamente - dell'ingegnoso e travolgente impegno di scrittura e regia da parte di un Von Trier in stato di grazia, se non di più.
Voto: 8+
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