Regia di Hector Babenco vedi scheda film
Carandiru è il carcere di San Paolo del Brasile. Un istituto penitenziario tanto grande quanto sovraffollato. Al suo interno la violenza la fa da padrona, così come il degrado fisico e morale. La “regolare” promiscuità dei rapporti sessuali ha reso Carandiru il diffusore potenziale del virus dell’Aids più importante di tutto il Brasile. È qui che interviene l'opera del dottor Dràuzio Varella (Luiz Carlos Vasconcelos), che arriva a Carandiru per intercettare e curare chi è già eventualmente sieropositivo e prevenire che ce ne siano degli altri. La sua professione di medico si incontra con le esperienze di tanti delinquenti matricolati, che sembrano trovarsi a proprio agio nel raccontargli i motivi della loro condotta criminale. Il suo ascoltare senza dar mostra di giudicare è quanto basta per far esercizio di umana comprensione anche in un inferno in terra come Carandiru. La sua opera di prevenzione sui detenuti procede come previsto, fino a quando non sarà interrotta dalla dura repressione degli agenti della Squadra Speciale che entrarono in forza nell’istituto penitenziario per reprimere una rivolta voluta dai carcerati per chiedere condizioni detentive più umane. La storia della mattanza di Carandiru del 1992 che provocò la morte indiscriminata di 111 detenuti.
“Carandiru” di Hector Babenco è un film che prende ispirazione dall’esperienza vissuta dal dottor Dràuzio Varella, impegnato nella lotta contro la diffusione dell’Aids in anni in cui la scarsa conoscenza del virus faceva da ulteriore acceleratore del contagio. E così che la macchina da presa entra a Carandiru, tra detenuti ammassati, la violenza che ha impregnato i muri e la promiscuità sessuale senza protezioni regolarmente praticata.
Come succede in “Pixote”, un film che descrive l’iniziazione alla violenza di ragazzi di strada rinchiusi nel riformatorio di San Paolo, Hector Babenco si conferma un autore incline a mischiare i fatti reali con la finzione cinematografica per offrire spaccati di vita del Brasile tristemente veri. Soprattutto in questo caso, dove il tema dell'Aids fa da tema catalizzatore dell'intero film.
Una plongè sulla città di San Paolo con relativa carrellata ottica in avanti apre il film. Poi c'è un susseguirsi di piani ravvicinati che ci fanno entrare a stretto contatto con gli umori e gli odori di quel triste luogo di detenzione. Così si apre “Carandiru”, come uno schiaffo dato senza preavviso che mette subito in chiaro la cifra stilistica adottata da Hector Babenco : da un lato, si documentano le azioni di uomini che si sono resi colpevoli di crimini efferati ; dall'altro lato, il film tende a riflettere sull’esistenza di una colpa tanto più grande che non esiste nessun carcere per poterla rinchiudere.
Bella ed essai emblematiche sono le parole del dottor Dràuzio Varella pronunciate dopo il suo primo impatto con l’istituto penitenziario : “Sapevo che molti di quegli uomini non avevano mostrato alcuna pietà verso le loro vittime. Ma la società ha i suoi giudici e io non ero uno di loro. E nello stesso tempo, che c'entravo io con tutto questo ? Avevo due possibilità, dimenticare o tornare”. Il dottore ritorna, perché chi non ha ancora disperso del tutto il senso dell’umano sentire non può dimenticare un luogo come Carandiru una volta che si è entrati a stretto contatto con il degrado fisico e morale che vi regna. Un luogo dove i detenuti sono ammassati come sardine e dove il virus dell'Aids è l'unico a circolare in assoluta libertà. Il dottore è lì per indagare sui rischi del contagio e prevenire il diffondersi della malattia. Ascolta i racconti di tutti senza mai giudicarli, il suo compito è quello di salvare quante più persone dal rischio dell’Aids e si comporta come chi ancora considera la vita umana in quanto tale una cosa sempre più importante delle colpe anche gravi che l’hanno potuta caratterizzare.
E allora il suo punto di vista diventa quello adottato dalla regia di Hector Babenco, che fa largo uso della giusta distanza generata dai campi medi per fornire un’attendibile descrizione d’ambiente partendo dal mettere nel giusto equilibrio il carattere dei detenuti con il contesto carcerario che li ospita.
Carandiru è un carcere mondo : droga, prostituzione, suicidi, omicidi, regolamento di conti sanguinari, lo spettro dell'Aids che fa da corollario alla promiscuità dei rapporti sessuali. Tutto in quel carcere vive ammassato : corpi, sporcizia, vendette, odi. Non c'è tempo per la pietà perché in ogni momento si è impegnati a guardarsi le spalle. È impossibile che la brutalità dei più bassi istinti non si impadronisca di Carandiru. È difficile anche scorgervi ogni anelito di redenzione.
Eppure, oltre le diverse storie che passano in rassegna, che ci danno notizie dei crimini di cui ognuno si è macchiato per meritarsi un soggiorno a Carandiru, attraverso gli occhi umanizzanti e distaccati insieme del dottor Varella, Hector Babenco spinge a riflettere sul tema della colpa. Infatti, all’interno di una prigione dove l’unica regola riconosciuta è solo l’arbitrio del più forte, la colpa finisce sempre per avere molti figli e nessun padrone riconosciuto. E quando una colpa non la si può definire con certezza seguendo criteri di giustizia generalmente riconosciuti, è il caos più totale. Un caos che può trasformarsi in inferno. Come dimostra tutta la rivolta nella parte finale del film, con la relativa mattanza repressiva voluta dalle autorità.
Tutti i detenuti hanno la colpa di essere a diverso modo dei delinquenti incalliti. La macchina da presa ha indugiato su diverse storie per non dare adito a dubbi in questo senso. Ma di chi è la colpa di Carandiru ? Di questo carcere sovraffollato dove non sono rispettate neanche le più elementari regole igieniche ? Del più grande focolaio potenziale dell'Aids esistente al mondo ? Di questo spazio degradato e degradante dove si tollerano i regolamenti di conti tra detenuti perché così il grosso del lavoro è fatto ?
Risultano ancora utili le parole pregne di umanità del dottor Varella, tese a documentare quanto realmente successe a Carandiru nell’ottobre del 1992 : ”Una galera silenziosa e molto osservante dei regolamenti è il segno che sta per succedere qualcosa. Quindici giorni dopo, quando ritornai nell'istituto, trovai solo i buchi scavati dalle pallottole sui muri”. Perché, dopo l'ennesima goccia che trasformò il fatidico vaso in una rivolta cruenta per chiedere condizioni di detenzione più umane, la risposta degli agenti della Squadra Speciale fu di una violenza senza precedenti. Entrarono per uccidere, perché è molto più semplice così con la “feccia umana, per di più se è sieropositiva”. Una mattanza indiscriminata che nel voler reprimere la violenza con la forza gli fornì un terreno ancora più fertile dove crescere più in fretta. E la colpa continuerà ad essere solo un fatto per i delinquenti che non stanno al potere. I morti saranno 111, e la macchina da presa, sempre alternando l’ampiezza del campo visivo, ce la restituisce combinando descrizione iperreale della violenza e rispetto antiretorico nel rappresentare la gratuità della morte.
Sui titoli di coda compaiono le parole del dottor Dràuzio Varella, a corollario emblematico di una triste storia di violenza : “Il 2 ottobre 1992, 111 uomini morirono nella casa di detenzione di San Paolo. Nessun morto tra la polizia militare. Posso solo dire cosa è successo a Dio, alla polizia e ai prigionieri. Ho sentito solo i prigionieri”. Poi Hector Babenco ci mostra immagini di repertorio relativo all'implosione di Carandiru avvenuta nel 2001. Film da vedere
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