Regia di Samira Makhmalbaf vedi scheda film
Parlano d'amore i taliban... A Samira Makhmalbaf sarà pure addebitabile una certa programmaticità, però bisogna anche riconoscerle una capacità, come pochi e poche, di entrare nei problemi di una società, per narrarli dall'interno, attraverso un racconto compiutamente cinematografico. Il fatto che abbia iniziato giovanissima la carriera di regista, anche in forza della naturale frequentazione con il padre Mohsen, e che sia donna non è certo un buon motivo per sminuire i suoi meriti ed ingigantire i suoi difetti.
La sua narrazione qui si incentra sull'Afghanistan post talebano, dove le donne finalmente hanno rialzato la testa, pur fra mille difficoltà. Le ragazze di città hanno una scuola tutta per loro, tenuta da una insegnante che sembra una emanazione non tanto lontana di Indira Gandhi o dell'ammirata Benazir Bhutto. Proprio a quest'ultimo modello mirano le ragazze della scuola femminile, che studiano tra enormi difficoltà derivanti dal fanatismo che è dentro le teste delle persone anche quando è sparito dalle leggi statali ed è soprattutto insito negli anziani, assai bigotti anche quando personalmente favorevoli alla cacciata dei talebani. Il padre della protagonista, per esempio, pretende che la figlia vada in giro velata da capo a piedi e quando egli, per strada, incontra ragazze che non portano il niqab o il burqa, si volta a guardare il muro.
Sono mondi che si scontrano sul "nuovo" Afghanistan uscito (ma è veramente uscito?) dalle guerre d'inizio millennio ed anche se i ritorni all'oscurantismo teocratico sono sempre dietro l'angolo, secondo la Makhmalbaf le ragazze che vogliono istruirsi ed emanciparsi sono una speranza per il futuro e, con le loro scarpette con il tacco e i loro ombrellini parasole, costituiscono una fragile barriera contro la violenza e la sopraffazione. Anche se in Afghanistan gli orologi sembrano sempre segnare le cinque della sera, quando ciascuno è chiamato a fronteggiare il proprio destino, come nella poesia di Garcia Lorca.
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