Regia di Samira Makhmalbaf vedi scheda film
Alle cinque della sera è la storia di una famiglia afgana che (soprav)vive quotidianamente facendo leva sull’ottimismo riposto nel futuro (un auspicabile futuro migliore). La semplicità delle storie, aldilà della complessità delle condizioni in cui esse si dipanano, può farle apparire banali se non addirittura sciatte. Il film di Makhmalbaf, insomma, è un film che si pervade di un minimalismo cinematografico (forzato).
Eppure chi tenta di leggere nel profondo del film, tra le righe della narrazione, vi troverà numerosi atti di denuncia ed un filo conduttore: l’ottimismo di chi prova a cambiare il mondo (non solo quello musulmano), di chi si allena ad incedere sui tacchi o di andare a scuola nonostante la volontà paterna contraria, di chi sogna di cambiare le cose perché in futuro nessun altro provi il dolore di perdere (“per la politica!”) l’affetto dei propri cari.
Saranno il tempo e la storia futura a dirci se tale ottimismo si tramuterà in realtà o se rimarrà un’amara utopia. Per il momento, nella Kabul di oggi, ottimismo e speranza convivono forzatamente con la cruda realtà della morte e della povertà, pronte entrambe a minare le forti aspettative di chi ancora crede nel futuro.
È un film che nonostante il tema non cade nella retorica e non eccede col manicheismo, ma ci fornisce una garbata chiave di lettura della situazione di determinate zone del mondo, nonostante qualcuno cerchi di narrarcele diversamente da come in realtà sono.
È un film che di fronte al manicheismo latente tra oriente ed occidente nobilita i musulmani (i tanti senza velleità terroristiche) e rende noi occidentali (tutti noi occidentali) più meschini.
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