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Quir

Regia di Nicola Bellucci vedi scheda film

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La recensione su Quir

di EightAndHalf
7 stelle

“La politica non è ideologia”, dice, citando Karl Marx, il direttore del Sicilia Queer filmfest Andrea Inzerillo al Taormina Film Festival 2024; e quindi la militanza non è retorica in Quir di Nicola Bellucci, ritratto di una collettività insintetizzabile – e pure invece contratta, densa, raccontata in 105 minuti – sullo sfondo di una Palermo della spazzatura e dei fiori tra le macerie. Che la  militanza non sia retorica lo si vede prima di tutto dalle dichiarazioni dei protagonisti del film: la coppia Massimo Milani-Gino Campanella che gestiscono la piccola boutique di Ballarò che dà il nome al film; Vivian Bellina che lotta con i risultati psicologici e sociali di una transizione di genere; Charly Abbadessa che come una versione più sanamente nostalgica di Helmut Berger rimpiange l’aitante giovinezza in quel di Hollywood; l’attore Ernesto Tomasini che accompagna la madre malata per gli ultimi 3 anni e mezzo di vita di lei performando e travestendosi nel salotto di casa. Le dichiarazioni di ogni singola voce di questo arabesco viaggiano su territori produttivamente problematici, e quindi urgentemente anti-retorici, specialmente se contrappuntati alle narrazioni che più si raccontano (e ci raccontiamo) su discriminazioni e tolleranze in seno e ai confini della comunità LGBTQIA+. Finalmente dei richiami all’attenti: non è tanto scontornare dal mondo la propria identità e affermarla a qualsiasi costo, ma accettare di essere delle “piccole realtà” accogliendo il negativo della vita – e cioè la morte – per dar valore alla vita stessa, incenerirsi per liberarsi, assecondare il divenire senza assecondare la convinzione di essere interi e definiti, sia che sia una definizione data da altri sia che sia una definizione data da se stessi.

Nicola Bellucci e il montatore Piero Lassandro cuciono insieme tanti ritratti come Milani cuce le sue borse e i suoi vestiti, raccordando con ritmo divertente e guizzi imprevisti un’idea di libertà che è politica proprio perché in continua dialettica con l’alterità e mai autoconclusa e autosufficiente. Il modo in cui tempestivamente entriamo in contatto coi protagonisti del film per poi accompagnarli sia nell’immediato delle prese dirette che nella riflessione delle voci fuoricampo è il risultato di uno sforzo di coerenza che le poche – magari anche annose – necessità delle forme più canoniche del documentario non riescono a sminuire. E chiudere con morte, funerali, cimiteri, non è altro che permettersi di risorgere in forme felicemente imprevedibili – queer davvero, questa volta.

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