Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film
«I like “Here”.»
Time...
...just...
...went.
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RIGHT HERE
All'incirca un paio di mesi fa mi dicevo – nonostante Robin Wright, Paul Bettani e Kelly Reilly (a lei è affidata, picture-in-picture, l'ellittica interpunzione - un'analessi prolettica - più sorprendente e commovente dell'opera: "What did I come in here for?", parafrasi anticipata - che tramuta un libro in una persona: e cos'altro sono, gli esseri umani e le loro storie, se non quasi la stessa cosa? - del "finale" del graphic novel), ai quali vanno aggiunti Michelle Dockery, Gwilym Lee, Ophelia Lovibond e David Fynn – abbastanza preventivamente deluso per il trattamento che Robert Zemeckis, Eric Roth, Tom Hanks, Don Burgess, Jesse Goldsmith, Ashley Lamont, Kevin Baillie, Sandra Scott, Joanna Johnston, Jenny Shircore ed Alan Silvestri avrebbero riservato a "Here" di Richard McGuire.
Le mie lacrime e le mia risate di odio, amore, rabbia, gioia e curiosità verso l'universo ("avrai cosi tanto amore da dare ai figli che non sentirai la sopraggiunta mancanza di quello dei genitori" non è una frase presente né nel libro né nel film, ma ci potrebbe stare) restituito da "Here" sono qui, per quel che vale il tutto, a testimoniarne la smentita.
Certo, se da una malickiana parte vi sono i dinosauri (anche se l'evento di Chicxulub non penso fosse osservabile da Newark) e gl'indigeni nativi (più Benjamin Franklin), dall'altra manca il futuro (anche se - non v'è alternativa alcuna, a parte la riscrittiva/interpretativa azione "archeologica" della memoria: un monile, un dipinto, una demenza degenerativa - proprio "il futuro è l'unica direzione possibile" verso cui l'entropia tende, e qui ci si ferma al "domani", ch'è la rivisitazione di un eterno ieri, delle regole che un afroamericano deve applicare e mantenere durante un controllo della stradale), che in Richard McGuire - "Eccolo qui!", il libro-nel-libro - è climate change / global warming & radioattivamente presente: quello ci toccherà viverlo nel corso del tempo, quella cosa che appare, persiste e scompare tra un singolo battito d'ali e l'itinerario migratorio di un colibrì golarubino (Archilochus colubris) in procinto di viaggiare verso sud per lo svernamento, giusto un altro sorso di nettare del New Jersey o delle sue limitrofe vicinanze finitime, poi via. (O tra la "spagnola" e il CoViD-19.)
Senza scomodare le installazioni di audiovideoarte, e rilevando che la computer graphics è la migliore in circolazione ed è molto ben utilizzata (solo in alcuni frammenti/fotogrammi si "scatena" l'Uncanny Valley postulata da Masahiro Mori, e il "respingente" che permeava cose come "Polar Express" e A Christmas Carol", già attenuatosi in "Pinocchio", qui è quasi del tutto assente), "Here" è un iperoggettuale retro-avanguardista flusso/conglomerato (il finale movimento di macchina "impossibile" che in "dolly-drone" sfonda "anti"-wavelengthianamente la quarta parete è forse l'elemento più "forzato", ma comunque ben riuscito) cine[ma(togra)]tico non eludibile.
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ELSEW HERE
Ho utilizzato un paio di volte qui su FilmTV qualche tavola di "Here" (1989 → ∴ → 2014), il capolavoro di Richard McGuire (1957), una pietra miliare del Grande Romanzo Americano e, collateralmente, un graphic novel, nello specifico per commentare figurativamente due miei altrettanti pezzi: nel caso di "A Ghost Story" i riferimenti visivi creati da David Lowery mi paiono talmente direttamente derivati da togliere qualsiasi dubbio di sorta (?) relativo al legame irreciproco instaurato dal film col libro, mentre nel caso di "Arrival", la trasposizione che Denis Villeneuve con Eric Heisserer diedero del racconto "Story of Your Life" di Ted Chiang, beh, quella è una coincidenza d'indipendent'intenti.
Questo per dire che molto probabilmente non assisterò, mai, alla versione che Robert Zemeckis con Eric Roth hanno dato di "Here". Poi, chissà, il tempo magari me la farà ritrovare (e mi piacerà pure un sacco: d'altronde, e perché no?, potrebbe essere il suo primo film compiutamente bello dopo "Contact"... o anche "Cast Away" e "Flight"). Intanto molto più probabilmente opterò per un altro "Here", quello di Bas Devos.
Ma, giusto per voler assegnare un poco di senso ulteriore a questa playlist, nella sua seconda parte non mi soffermerò tanto sul “qui”, quanto piuttosto sui suoi dintorni, esplorando di "Here" i suoi paraggi. Eccoli qui.
Addenda: "Gli artisti mediocri copiano, i geni rubano”, diceva quello. O era quell'altro...
Robert Crumb (1943) - "A Short History of America" (1979, per i primi 12 pannelli, e 1993, per l'aggiunta "What Next?" degli ultimi 3).
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