Regia di Fernando Meirelles vedi scheda film
Amatissimo da certa critica (vedi quella d’oltremanica), sbertucciato da altri (la maggior parte dei quali nostrani), il film di Meirelles, presentato a Cannes 2002 e a Rotterdam 2003, non merita nessuno di tali estremismi. Per raccontare un decennio di violenza, sommovimenti socio-culturali e droghe, nella ”Cidade de Deus“ ai piedi di Rio, il regista succhia il romanzo fiume di partenza (di Paulo Lins) attraverso lo sguardo di un ragazzo che, mai ”da esterno“, anzi sempre inzuppato fino al collo nel caos dell‘ambiente, trascorre gli anni maturando. Affermare, come è stato fatto, che Meirelles, per raccontarla, sfrutta la miseria delle favelas, sembra davvero fuori luogo: potremmo dire lo stesso di ogni film sul crimine dei sobborghi, delle periferie. Se ha un difetto, City of God, è quello di essere tutto derivativo. Ma, ricordando Scorsese e via di seguito, è pure vitale, sanguigno, ansioso, esplicito, fangoso, nudo e crudo. Stilisticamente, è in equilibrio precario tra glamour sporco e dimostrazione. Però non infastidisce, prova spesso di essere in grado di montare la tensione e il ritmo, di riuscire in scelte narrative abbastanza ardite e di tenere in mano una polifonia di volti, voci e corpi davvero notevole. Almeno, non è Walter Salles.
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