Regia di Tim Ritter vedi scheda film
Maldestro e sgangherato prodotto destinato alle serate a base di "...familiari di Peroni ghiacciate e rutto libero" ma non totalmente privo di interesse
In piena epoca home video, con il boom delle vhs, si sviluppò una corrente di cinema indipendente americano portata all’esasperazione parossistica di ciò che il fruitore medio dei prodotti exploitanti ed estremi dell’epoca andava segretamente ricercando, il tutto naturalmente sotto l’egida del più assoluto risparmio realizzativo.
Eran tempi in cui l’hard core, ormai girato in massima parte in video, piegava verso il patinato piattume d’assai più economiche ambientazioni in interni, nonchè sacrificava soluzioni stilistiche e impianti narrativi a esclusivo vantaggio di quelle situazioni esplicite che andavano giocoforza a ricoprire quasi l’intera durata dei films.
Dal canto suo, il cinema horror e slasher deviava anch’esso verso trame sempre più minimali e personaggi tagliati con l’accetta all’unico scopo di fungere da debole pretesto per giustificare quegli effettacci grandguignoleschi che costituivano il vero asse portante dell’intrattenimento, ancorchè il più delle volte realizzati in maniera ridicola e dilettantesca.
In tale contesto, seguendo la lezione del grande e ingiustamente dimenticato Hershell Gordon Lewis, autentico precursore del cinema splatter, la carenza di budget e l’assenza spesso totale di professionalità venivano compensate e rese sopportabili attraverso toni estremamente scanzonati e disimpegnati, nonchè da una componente ironica quasi da cartone animato.
Nella paccottiglia di prodotti espressamente dedicati a quelle serate a base di “…familiari di Peroni ghiacciate e rutto libero”, titoli del calibro di “Horror in Bowery Street”, “Bad Taste” e giustappunto questo “Delirio”, apparvero anche, sia pur fugacemente, nelle nostre sale cinematografiche.
La trama, come era lecito aspettarsi improntata alla più totale farneticazione mentale, ci narra di un certo Tom Russo, pazzoide schizofrenico gelosissimo e ossessionato dal tradimento della procace consorte Leeza. Disincantato e deluso da un lavoro che non lo soddisfa, il nostro scopre casualmente un diario dove la moglie descrive con dovizia di particolari svariate avventure sessuali che avrebbe vissuto con una congerie di personaggi che vanno dal migliore amico del marito, al postino, al giardiniere, all’elettricista, sino all’immancabile riparatore di televisori. Colto da isterìa e delirio omicida, il nostro, dopo aver preso a pugni e a sberle alcuni poveri cristi capitatigli per caso a tiro, decide di allontanare la moglie di casa per uccidere nella maniera più assurda, cruenta e bizzarra tutti coloro che sarebbero stati gli amanti occasionali della moglie stessa nei suoi “coloriti” racconti. Ne farà le spese anche una vegliarda vicina di casa che, informata di tutto, intendeva ricattare il folle chiedendogli di eliminare suo marito. Le vittime, tornate improvvisamente in vita come zombies (sic!), decideranno di vendicarsi di una morte inferta loro ingiustamente. Si scoprirà infatti che il diario in questione conteneva unicamente delle fantasie che Leeza avrebbe utilizzato per pubblicare alcuni racconti erotici all’unico scopo di aiutare economicamente l’amato consorte. Il tutto sino a un finale a sorpresa sul quale preferisco non anticipare nulla con forti assonanze a quello “Shock” di baviana memoria che non può non essere stato preso in considerazione dagli autori.
Superata una prima parte decisamente soporifera, dove avremmo comprensibilmente preteso una componente erotica assai più marcata e nudi integrali, ahimè totalmente carenti, della polposa e ultrasconosciuta Courtney Lercara (chi fu mai costei?) nel ruolo di Leeza, il film si riscatta ampiamente nel folle delirio splatter della seconda parte, dominata dal barbuto e biondo protagonista che ha le fattezze dell’altrettanto sconosciuto Asbestos Felt (letteralmente “feltro di amianto” sic!), che nell’occasione si esibisce anche come rockettaro heavy metal eseguendoci il brano dozzinale e caciarone che accompagna i titoli di coda. Sempre sghingnazzante come ogni sadico che si rispetti, decapita; falcia scalpi con le pale di un ventilatore da soffitto; sventra divertendosi a srotolare intestini; sfonda menti e gole con il machete; trapassa teste con il cacciavite; mozza arti con la macchina tagliaerba con la massima tranquillità.
Un gore portato oltre ogni eccesso, ancorchè malfatto e ridicolo, a cui si accompagnano personaggi che esprimono negatività da tutti i pori: se il migliore amico del protagonista è un vecchio laido che ama vantarsi delle “performances” con la sua giovane amante diciottenne (una sguaiata dai capelli colorati che ride sempre come un’idiota e con la sua testa mozzata visibilmente di plastica che di lì a poco andrà a fare bella mostra di sè), tutti gli altri si esprimono comunque in maniera volgare e sboccata in guisa di certi videogiochi “spara spara” della prima generazione (vedasi gli indimenticabili “Duke Nuken” e “Redneck Rampage”) o del peggior “Troma movie”.
L’oca giuliva Leeza, beota casalinga nella realtà cinematografica, si trasforma nella mente distorta del marito in un “oscuro oggetto del desiderio” facendosi apostrofare con gli epiteti più irripetibili e prosaici dai suoi immaginari copulatori.
Tom, fallito sul piano professionale e ossessionato, come si è detto, dal tradimento della moglie alla quale impedisce di lavorare nonostante le ristrettezze economiche in cui la coppia versa, distrugge in un’esplosione catartica tutti coloro che secondo lui possono far crollare il suo mondo piccolo borghese, figlio degenere di un sogno americano per lui mai avveratosi.
Racimolati per l’occasione un manipolo di buontemponi dalle limitate esperienze attoriali, nonchè tecnici eufemisticamente improvvisati, il giovane regista indipendente Tim Ritter, nella piena consapevolezza del proprio dilettantismo e lungi dal prendersi sul serio, al di là di un intrattenimento di bassa lega e fine a se stesso, tenta maldestramente di imbastire anche una critica feroce a certo machismo troglodita ancor presente in alcune realtà rurali americane; il tutto esaltato da un’atmosfera malata e sudaticcia delle assolate e desolate locations, rese malamente dalle troppo statiche riprese del “girato in video”.
In definitiva, pur nel suo pauperismo e nella sua totale ridicolaggine, questo “Delirio”, titolo più calzante non si poteva trovare, rimane ad avviso di chi scrive, un film tutto sommato degno di essere recuperato. La sua folle trama in una con il voluto cattivo gusto ci fanno immaginare una sorta di girone infernale in cui si agitano beffardamente come demoni, figuri immersi nella più profonda ignoranza e nella grettezza di una provincia americana forse quanto mai vicina alla nostra, come certi fatti di cronaca nera purtroppo dimostrano.
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