Regia di Fred Zinnemann vedi scheda film
Ad Hadleyville, un piccolo avamposto nel West, sta per ritornare dalla galera Frank Miller, temibile fuorilegge, pazzo ed assetato di vendetta nei confronti di chi lo condannò, lo sceriffo Will Kane. La notizia arriva proprio nel giorno in cui Kane si è sposato ed ha concluso la sua carriera di sceriffo, appendendo la stelletta al chiodo. Kane può scappare e godersi il viaggio di nozze con la bella moglie, ma decide di rimanere, preparandosi ad affrontare il duello di mezzogiorno. Intanto Kane prova ad assoldare alleati, ma è dura…
Un capolavoro, senza sé e senza ma. Frank Zinnemann inscena un western atipico, che esula dall’infinità dei deserti e dai tempi dilatati delle carovane, per portare il western alla stregua della dimensione teatrale. Un esperimento riuscitissimo, che concentra in unità di spazio, ma soprattutto di tempo ben definiti, tutti gli stereotipi del genere statunitense per antonomasia. La piccola cittadina di Hadleyville al posto del deserto; e il giro di lancette che manca all’arrivo di Miller in luogo di una cavalcata lunga e faticosa. Non che in “Mezzogiorno di fuoco” manchino sparatorie, cowboy fuorilegge, sceriffi o cavalli. Hadleyville ha il suo saloon, la sua chiesa, l’ufficio dello sceriffo. Tutto in regola. Solo che ridimensionato. Tempo e spazio “limitati”, necessari presupposti allo scenario che fa da sfondo al travaglio intimista del protagonista. Kane è combattuto tra dovere e piacere, preferirà il thanatos all’eros, rifuggirà la codardia, accondiscendendo ad un senso del dovere non richiesto. Il film è una summa di elementi amalgamati con grande maestria: teso e intensissimo, tanto da non calare di tensione nemmeno durante le impietose sequenze in cui Kane prova invano ad assoldare un gruppo di 10-12 alleati per affrontare i malviventi, oppure durante l’assurda scazzottata col suo vice (reo di volerlo corrompere). Anzi, proprio la ricerca spasmodica ma vana di coloro che dovrebbero accompagnarlo in una battaglia dura ma necessaria rappresenta il cuore di un film perfetto.
Ma guardato in profondità, “High noon” è un film sul tempo. E non semplicemente per via del titolo o perché tutto ruota intorno all’ora X. Né per via del fatto che le inquadrature di cipolle, orologi da parete o pendole si sprechino. “Mezzogiorno di fuoco” è un film sul tempo perché destruttura i tempi dilatati e pieni del western classico, riempiendoli di vuoti, di attese, di incertezze. Zinnemann non ha paura dell’horror vacui. Anzi, addirittura ci sguazza. Il tempo sospeso, in attesa del duello, è meglio del duello stesso. Paradossi di un film architettato a perfezione.
Ed a proposito di tempo, architettata con maestria è soprattutto il concetto di narrazione: le vicende sono narrate quasi in tempo reale, per cui tempo della visione (del film) e tempo del racconto (delle vicende) coincidono. E così l’adrenalina di Kane, che cerca compagni per il duello con Miller ed i suoi lacchè (tra cui si riconosce un giovanissimo Lee Van Cleef), è l’adrenalina dello spettatore: un minuto perso da Kane, è un minuto di visione in cui il fruitore segue lo sceriffo senza paura nei lunghi piani sequenza e attraverso movimenti di macchina che hanno fatto scuola. Emblematico l’ultimo giro di lancette, in cui Zinnemann decide di passare in rassegna, secondo una carrellata più televisiva che cinematografica, tutti coloro che hanno intrecciato il proprio destino con Kane; il tutto al ritmo di una musica di sottofondo tarata su 60 bit per minuto, ossia un bit per secondo!
Pregevole fotografia, avveniristici istrionismi della macchina da presa, e clamoroso carisma elargito dal cinquantenne Gary Cooper, che dal film esce definitivamente mitizzato, consegnando agli annali un’icona western inarrivabile. 4 Oscar, e sono pochi, per un caposaldo della settima arte.
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