Regia di Gia Coppola vedi scheda film
Psicologicamente intelligente. Al femminile, in gran parte, certo. Asciutto ma estremamente significativo, nella sua concisione.
La nipotina di Francis Ford Coppola sforna un film egregio: nella sua brevità (meno di un’ora e mezza), si fanno assai apprezzare le scenografie - indispensabili per una pellicola basata (ma, appunto, solo apparentemente) sull’apparenza -, i costumi, le musiche, la fotografia.
Il cuore dell’aspettativa del pubblico è pienamente soddisfatta: donne che devono accettare di essere meno belle, sempre di più, con l’andare del tempo.
Il deperimento estetico e fisico - sulla lunga distanza, almeno, ineluttabile - motiva quello del proprio narcisismo che, quando è malato (come in questo caso), costringe alla disperazione. Solo valori seri, proposti educativamente, avrebbero forse potuto prevenire un disastro esistenziale come quello che qui si vede.
Ma di ciò non c’è l’ombra. E se ne vedono le tragiche conseguenze: sia nella protagonista – che piange spesso, lasciandosi colare impietosamente il trucco, o rompendosi inavvertitamente i costumi (che poi deve ripagare, assottigliando ulteriormente così la propria paga) – sia nell’amica – costretta ad assecondare la ludopatia e la libido dei suoi clienti al casinò di Las Vegas. Quest’ultima, ormai ultrasessantenne, interpretata benissimo da Jamie Lee Curtis, può ammettere di essere felice della sua vita solo se ben ubriaca; e manifesto di ciò è il suo balletto, patetico e commuovente assieme, che tutte le sere inscena, tra la – quasi- indifferenza generale.
Il film sottolinea in modo corretto certi aspetti rilevanti della società di oggi: specie delle sessantenni/cinquantenni occidentali, cresciute nel mito dell’apparenza dello star system capitalista, in particolare degli anni ’80 (che però in America era presente già da vari decenni). Illuse da certi cliché, le più fortunate - in quanto più belle – si ritenevano privilegiate: esonerate, cioè, dalla comune fatica per guadagnarsi da vivere. Interessante, a tale scopo, è la continua marcatura della superiorità estetica del proprio ruolo di ballerina, che la protagonista rivendica: eppure, tutte le sue ben più giovani colleghe ricordano lo squallore di tale condizione, obbligata all’esibizionismo asservito alla libido maschile, accettabile solo se in attesa di meglio.
Nella limitatezza umana di ciò sta tutta la splendida interpretazione di Pamela Anderson: con la sua ansia, i suoi disastri (genitoriali...), i suoi sorrisi forzati per nascondere l’ansia che la divora. «Devo essere bella, ed essere vista», confessa: non ha altre particolari risorse da spendere nel mondo, anche per guadagnarsi da vivere, se non la propria bellezza. Una richiesta ossessiva di conferma da parte altrui. Che però non può durare a lungo, se vengono meno i motivi di tale conferma. E, con l’invecchiamento, vengono per forza meno: la bellezza fisica col tempo sfiorisce. Non c’è alternativa.
Gli aspetti poetici e commuoventi si susseguono, specie nella parte finale. E stanno, molto, nell’assenza di trucco della ex bagnina di Baywatch, ormai 57enne.
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