Regia di Gia Coppola vedi scheda film
Dalle spiagge di Malibù ai lunari sbarcati di Las Vegas con tante tinte agrodolci e abbastanza profonde...
THE LAST SHOWGIRL.
Visto per la prima volta un film di Gia Coppola, figlia e nipote d’arte del compianto Gian-Carlo (meno male che due mesi prima della tragedia non aveva usato il guanto parigino…), Francis e Sofia. Bisogna dire che la mano registica ce l’ha, avendo collaborato con il nonno e la zia e con due film all’attivo (mia culpa che devo recuperare).
Shelley Gardner, una showgirl di cabaret ormai in età matura, vedrà il suo mondo poco a poco crollare quando viene a sapere che lo spettacolo di Las Vegas chiuderà i battenti dopo trent’anni. Di lì molti veli di Maya verranno tolti e al contempo cercherà di riallacciare i suoi rapporti con la figlia Hannah.
The Last Showgirl (2024): Pamela Anderson
Gia gira il tutto con diversi primi piani e movimenti con macchina a mano seguendo perennemente i personaggi e con chiari tocchi e visioni prettamente femminili. Non a caso il suo stile si avvicina più a quello di Sofia Coppola e dal nonno Francis prende i proverbiali raccordi di montaggio artistoidi e le scelte di colori sgargianti e musiche delicate con apparente barocchismo dove però non si raggiunge mai la totale saturazione per semplici ragioni narrative. Le interpretazioni sono buone, una Pamela Anderson protagonista finalmente decente in un ruolo a tratti autobiografico e decisamente suo. Una splendida Jamie Lee Curtis da perfetta e disillusa “ragazza immagine” ancora in forma nelle movenze senza nascondere troppo la sua terza età. Un Dave Bautista pacato, gentiluomo e da perfetto direttore di scena. Un bel ritorno di Kiernan Shipka e Brenda Song che sono delle giovani subrette di contorno belle in forma. Una curiosa Billie Lourd (anch’essa figlia d’arte).
The Last Showgirl (2024): Pamela Anderson
La storia ha delle similitudini con The Wrestler di Darren Aronofsky dove sia il personaggio che l’interprete affrontavano delle dure realtà con la loro carriera, il loro vissuto e la loro età. Qui Shelley vive lo spaesamento e la meno compatibilità dovuti ai tempi che cambiano, ma soprattutto lo scoprire di non aver per davvero realizzato la sua vita: è sentimentalmente sola e senza un compagno, ha solo coltivato il suo orto professionale tra costumi e coreografie senza mai esplorare veramente altro per tre decenni, frequenta una sua vecchia amica ex showgirl che vive le giornate da cameriera e nei ricordi dei tempi andati e le sue giovani colleghe che arrivano sempre più a compatirla, prova a stare col suo direttore di scena Eddie (con il quale hanno avuto insieme diversi trascorsi) che tenta più volte di sollevarla e aiutarla, ha una figlia che il più delle volte ha trascurato dove però cerca di ritrovare un rapporto stabile, ma con inevitabili regolamenti di conti. Nelle due settimane che passano prima dell’ultimo spettacolo si arriverà ad un’audizione finale dove ogni maschera di Shelley cadrà fino ad un finale crepuscolare.
The Last Showgirl (2024): Jamie Lee Curtis
Certo, Gia poteva anche mettere la lente sugli spettacoli dove se ne parla tanto, ma preferisce concentrarsi più nell’intimo, nei camerini e nella sfera personale dei personaggi e attraverso i dialoghi e le immagini parla anche di uno show business che non soltanto mette in evidenza come si elogiano le giovani e belle promesse, ma dimostra in modo lampante come un guscio bello e glitterato, se non ha niente dentro, prima o poi si secca, si rinsecchisce, diventa rugoso e infine non diventa più utile. E per una volta non verrà data la colpa al solito maschio, bianco, etero e patriarcale, ma alla donna stessa che ha favorito di tali privilegi di comodo fino a ritrovarsi un conto finale veramente salato.
The Last Showgirl (2024): Dave Bautista
La tecnica non è male, anche se correggere un po’ la messa a fuoco e nei contorni tanto male non avrebbe fatto, si poteva spingere un po’ di più nei lati negativi e nelle controversie dei personaggi, alcune volte si gira un po’ a vuoto e al personaggio di Billie Lourde si poteva dare almeno dieci anni di più perché come ventenne non è tanto credibile (oppure castare un’attrice più giovane e mantenere gli stessi dialoghi).
Comunque nei suoi 89 minuti si riesce a portare a casa dei buoni messaggi senza sforare troppo in eccessività e retoriche e mantenendosi con un discreto film.
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