Regia di David Lynch vedi scheda film
Nell'anno 10.191 i ricchi feudatari non sfruttano ettari di terreno, bensì interi pianeti. La voce narrante di una bella fanciulla di cui la regia ci concede di poterne ammirare le piacevoli fattezze (è interpretata da una poco più che esordiente e splendida Virginia Madsen), ci informa che il desolato pianeta Arrakis, conosciuto anche come Dune proprio a causa della sua superficie sabbiosa ed inospitale tutta ondivaga di sabbie e roccia, è stato dato in concessione dall'imperatore Shaddam IV alla nobile famiglia Atreides, con lo scopo di farne gestire il prezioso commercio di "spezie" che il suolo poco accogliente tuttavia è in grado di fornire, quale unico pianeta tra quelli conosciuti. Una spezia che consente di poter fruire di benefici fisici di vario genere e che consente anche di potersi trasferire da luogo a luogo senza materialmente dover affrontare un viaggio.
In realtà questa concessione nasconde un inganno che l'imperatore2, ricattato dagli esponenti della Gilda spaziale, organizzazione che ha in mano il monopolio dei trasporti tra i vari pianeti, ha architettato per favorire la famiglia che da sempre contende il primato in ricchezze agli Atreides, ovvero gli Harkonnen, pittorescamente rappresentati dalla figura laida e pustolosa del suo più alto rappresentante, il barone Vladimir Harkonnen. Un individuo pingue al punto da essere costretto a spostarsi con un apparecchio che lo fa fluttuare in aria, ed uno stato di salute che gli richiede frequenti trasfusioni di sangue da cavie giovani ed innocenti e una cura di una vistosa e repellente dermatite che ne sconvolge la fisionomia.
Circondato da una corte di buzzurri kitch e dai modi rivoltanti, il barone trama vendetta sul capostipite degli Atreides, il Duca Leto che, contrariamente a quanto previsto, ha concepito un figlio maschio da una delle ancelle della cosiddetta Sorellanza, riuscendo a possedere pure lui come la madre alcune preziose doti di preveggente che lo rendono come eletto a futuro imperatore.
Morto il duca a causa di un clamoroso tradimento, e senza che questi sia riuscito fruttuosamente ad uccidere in extremis il suo nemico giurato barone Hakronnen, ecco che madre e figlio, ovvero il giovane Paul Atreides e la bella madre Lady Jessica riusciranno a scappare atterrando fortunosamente nel pianeta Dune, scampando alla minaccia dei vermi giganti che proliferano nel sottosuolo, ed unendosi con l'occasione al popolo nomade che, nonostante il clima ostile, da secoli ha imparato a vivere in quei luoghi, e che riconoscono in Paul il messia che li potrà condurre a rivendicare i propri diritti di popolo negletto e trascurato.
Più che la trama, qui ridotta all'osso e già frutto di una energica selezione rispetto all'opera-fiume nata dalla fantasia compulsiva e senza limiti dello scrittore Frank Herbert, del Dune di Lynch, film dalla tribolatissima genesi, frutto di un compendio di intenti tra la visionarietà di un regista all'epoca giovane ed assai promettente dopo il successo planetario del suo acclamato The Elephant Man, e le esigenze meramente commerciali che premevano allo scaltro produttore Dino De Laurentis, qui figurante sotto forma della figlia Raffaella, emerge lo stile "malato" che già aveva reso David Lynch un regista unico e morbosamente attraente col suo esordio clamoroso rappresentato dall'eccentrico Eraserehead.
E nonostante le difficoltà produttive che hanno accompagnato tutta la gestazione dell'opera, già di per sé considerata maledetta dopo il naufragio dell'ancor più ambizioso precedente progetto portato avanti dal celebre duo Jodorowsky-Moebius (artefice di uno dei più noti film mancati della storia del cinema di tutti i tempi), il Dune di Lynch a mio avviso rimane un'opera unica proprio per la sua essenza malata e virale che pervade molte delle scene divenute cult: i deliri di perfezione del barone Harkonnen (interpretato dall'ottimo Kenneth McMillan), grassone volante e devastato da pustole purulente che riesce a malapena a contenere i suoi vizi fisico-sessuali che lo costringono a farsi scorta di giovani umani come riserva sanguigna; e che si circonda a sua volta di una corte di malvagi e perversi da urlo, magnificamente resi e capitananti da uno Sting-bambola perversa e adone sessuale, e da un Brad Dourif non meno folle e masochista.
E poi un cast da urlo per numero di star impiegate anche solo in ruoli di contorno (Max Von Sydow, Linda Hunt, Sean Young, Dean Stockwell, Patrick Stewart, Everett McGill, persino il Jack Nance di Eraserehead!!), che si alternano ai protagopnisti validamente resi da attori tutt'altro che scontati come Jurgen Prochnow, l'esordiente Kyle MacLachlan destinato a divenire, assieme a Laura Dern, l'attore feticcio di Lynch, l'attrice teatrale di origine britannico-brasiliana Francesca Annis nel ruolo della madre del messia.
E poi lei, Silvana Mangano, ovvero la più riservata delle reverende madri che popolano il film, nonché moglie e madre dei due produttori di cui sopra, il cui aspetto inquietante e testa rasata anticipano in qualche modo, pur non avendo null'altroi in comune che la fisioniomia, la inquietante apparenza che avrà di li a poco il protagonista della serie horror Hellraiser.
Giudicare Dune di Lynch, visto per la prima volta a sedici anni alla sua uscita al cinema, ripensato con l'emozione del ragazzo che fui e con i sentimenti che provai nel vedere sul grande schermo quell'epopea un po' stramba ma affascinante, con quei mostri ora forse risibili ma all'epoca entusiasmanti nati dalla manualità artigiana e maestra del grande Carlo Rambaldi, e che il film dosa in apparizioni centellinate ma di effetto scenico all0epoca grandioso, risulta per me difficile senza abbandonarmi ai sentimenti di quell'epoca ormai lontana.
Il film esaltò il giovane cinefilo inesperto che viveva già all'epoca in me, e il ricordo che serbo di questo film rimane intatto anche dopo le successive visioni - quella più recente occorsa proprio i giorni scorsi per potermi raffrontare a mente fresca con la nuova, per me fredda e deludente nonostante l'ineccepibile sforzo produttivo e l'impeccabilità della messa in scena del solitamente ottimo Villeneuve.
Un film che, assieme all'ancor più straordinario Velluto Blu visto due anni dopo sempre in sala, mi fece apprezzare senza mezze misure non solo l'autore David Lynch come il vero genio cinematografico assoluto di quel momento, ma il cinema come arte in grado di accogliermi nel suo mondo per regalarmi emozioni uniche ed assolute.
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