Regia di David Lynch vedi scheda film
Nell’anno 10193 la Casa Atreides è invitata dall’imperatore Shaddam IV a sostituire gli Harkonnen alla guida del pianeta Arrakis. Il pianeta è ricco di Melange, un minerale estratto dalla sabbia i cui gas consentono di abbattere le barriere spazio-temporali e navigare nel cosmo. Chi controlla la spezia controlla il potere. Pur consapevole che si tratti di una trappola il duca Leto accetta l’incombenza e trasferisce la corte su Arrakis mentre gli Harkonnen e l’imperatore tramano alla sue spalle. Ma la vera minaccia per l'alleanza non è il duca bensì il figlio Paul che sembra incarnare un’antica superstizione locale. Nel corso degli anni David Lynch ha liquidato ogni domanda su “Dune” in maniera sempre più sintetica. Ha più volte ribadito che non si sarebbe occupato ulteriormente del film e non avrebbe mai distolto risorse da altri progetti per curare una director’s cut che fosse più coerente alla sua visione. Un vero peccato. Ci resterà questa versione da 130 minuti che fu aspramente criticata ancor prima dell’uscita in sala nel 1984. Meglio di niente. Negli anni il film è stato, almeno in parte, rivalutato. Resta però un’ampia disputa intorno al lavoro di Lynch tra feroci detrattori e ammiratori incalliti, una disputa che spesso assume toni accentuati. Personalmente sono legato a questo film perché l’ho visto in giovinezza, a pochi anni dalla sua uscita in sala, ed è legato a sensazioni ed atmosfere ben precise. Lo ricordo con piacere perché fu uno dei film che mi aiutarono a superare le paturnie di giovane teenager innamorato del cinema ma ai primi passi nella costruzione di una propria personale esperienza cinematografica e di vita. “Dune” era un film di eroi romantici e di universi lontani in cui si combatteva per libertà e giustizia, valori che stavano plasmando la mia giovane ossatura di uomo. L’età adulta e il continuo calpestio di quei valori mi hanno reso, probabilmente, più cinico o disinteressato ma la visione di “Dune” mi riporta, sempre, a quel periodo di entusiasmo e bellezza. “Dune” di David Lynch mi piace ancora. È vero, i tagli al montaggio, che hanno vanificato il grosso delle riprese, non hanno giovato al risultato finale. La seconda parte, in particolar modo, è raffazonata e mutilata. Per questo motivo ho già sprofondato i De Laurentiis nel mio personale inferno arrakiano a leccare il pelo di un gatto bianco per l’eternità. Ci sono però aspetti che mi hanno sempre affascinato rendendo speciale l'esperienza visiva di "Dune". Chi è pratico dell’Antico Testamento è al corrente che le sue pagine vengono rilette in chiave messianica. Molto spesso i Vangeli citano passi della Bibbia che alludono alla venuta del Cristo. La rilettura cristologica dei libri della tradizione giudaica vuole giustificare, e al tempo anticipare, la venuta del messia e il suo destino di passione e rissurrezione. Lynch dà al suo film questa impronta e pone l’accento in maniera quasi maniacale sul valore messianico delle antiche profezie "fremen", evocate nei pensieri e nelle parole del popolo di Dune al cospetto del mahdi, l'uomo proveniente da un altro pianeta che la tradizione vuole capace di condurre Arrakis alla libertà. Il fato è immodificabile e tutto concorre alla venuta del Messia. Tutto è svelato dalle antiche profezie di Arrakis e non vi è modo di fuggire al destino che esse hanno rivelato da secoli. Poiché tutto è stato scritto Lynch getta immediatamente le carte sul tavolo infischiandosene di ogni attesa e del tempo dell'epifania. Ogni mistero è già chiarito ed il regista asseconda la legge del tempo herbertiano palesando, fin da subito, la cospirazione imperiale (l'imperatore come Erode) ed il tradimento del dottor Yeuh (Giuda Iscariota) concentrandosi su quei passaggi narrativi e su quelle visioni che legittimano la figura messianica di Muad'dib. Lo stesso incontro con Chani è già stato visto più e più volte nella testa di Paul da non apparire sorprendente nel momento in cui avviene se non dal punto di vista della realizzazione profetica. L’intensa spiritualità mutuata dal romanzo di Frank Herbert mi affascina ancora a tanti anni dalla prima visione e fa del protagonista, Paul Atreides, un personaggio fiero della sua funzione eroica. Paul Atraides è consapevole della sua investitura, fin dall’arrivo su Caladan della sorellanza, e non solo accetta il suo ruolo ma sembra compiacersene. Il film di Lynch emana misticismo religioso e filosofia zen. I suoi personaggi nascono dagli albori delle letteratura, dal filone di eroi senza macchia che circondavano una tavola rotonda nei romanzi cavallereschi.
Nella rappresentazione di questo universo futuro ed immenso, retto da un'organizzazione feudale che ricorda la Russia zarista, David Lynch conferisce l'impronta visiva che lo contraddistingue fatta di simboli, sogni, visioni ad occhi aperti. Rimane nell'immaginario la goccia che cade su un tappeto d'acqua producendo infiniti cerchi concentrici che simboleggiano l'influenza di Muad'dib nel tessuto sociele della popolazione di Arrakis di cui egli è l'acqua della vita. Non meno importanti i simboli delle malattie e delle mutilazioni. Orecchie mozzate e labbra tagliate sono cucite da un filo visibile e invadente che spiega la sottomissione di un popolo al sadico volere del suo aguzzino. Il barone è vittima di un in ingordigia sessuale estrema e compulsiva che spiega la sua sete di potere. Dal sesso dipende la ricerca del potere che fa mostra di sé nella putredine della carne harkonnen. Lynch insiste nel rappresentare la devianza dell'umanità nei volti e nei corpi emaciati, nelle canule che entrano nei corpi, nelle disgustose imperfezioni dei volti, nelle pustole del barone, nella deformità di un essere spaziale che domina lo spazio ed il tempo ma si è trasformato per propria ambizione in un ammasso viscerale di carne flaccida che comunica attraverso una bocca che non è più bocca ma orifizio, sfintere, vagina. Gli elementi della filmografia lynchiana (incubi, mostri, imperfezioni) sono onnipresenti e non mancano di suscitare ribrezzo e paura. La rappresentazione ottocentesca delle corti, la livida luce delle scene e il barocchismo delle scenografia, che coinvolgono anche la rappresentazione delle astronavi degli Atreides (vedasi il portale della nave madre) immergono lo spettatore in un tempo vicino al famigliare passato in cui i popoli erano vittime di un potere assoluto, permettendoci di identificare la mancanza di evoluzione del diritto in un futuro, lontano, in cui è sempre l'imperfezione (e qui si torna alla simbologia del film) del genere umano a dettare le regole della società (in)civile. Ci sarebbe molto da osservare in questa versione del romanzo di Frank Herbert col rischio di annoiare. A fronte di evidenti limiti dovuti al montaggio e all'eccessiva caricatura di alcuni personaggi "Dune" di David Lynch evidenzia gli elementi tipici del cinema di un grande autore, elementi che appaiono ancor più evidenti oggi che si può finalmente vedere la versione villeneuviana di "Dune" così vicina all'immaginario herbertiano, così lontana dal "modulo estraniante" del maestro David Lynch.
Mediaset Infinity
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