Regia di Paul Schrader vedi scheda film
Com’è noto, Schrader è figlio di un rigidissimo pastore protestante che fino ai 18 anni gli proibì anche di andare al cinema: aveva la strada aperta per diventare uno psicopatico, e invece è diventato quello che sappiamo. Ma, anche dopo aver preso la strada giusta, ha conservato una sensibilità non comune (all’altezza di Lang) per i temi della colpa e della pena, che si manifesta nei suoi protagonisti afflitti da un groviglio inestricabile di tormenti interiori e sospesi fra purezza e peccato. Ritengo che questo film e Lo spacciatore siano le sue prove più riuscite. Come già in Hardcore e American gigolo, si parla di sesso: l’ascesa professionale di un attore televisivo procede di pari passo con la discesa negli inferi di una dipendenza sempre più squallida, sotto la guida di un tecnico che gli fa scoprire le meraviglie della videoregistrazione; i suoi due matrimoni vanno in fumo uno dopo l’altro, e si procede verso un finale inesorabilmente tragico. Il sempre sottovalutato Greg Kinnear, con la sua faccia rassicurante, è perfetto nel rendere la stravolta innocenza di un personaggio che è consapevole dell’abisso in cui è caduto ma non si redime (“In fondo, fra Bacco, tabacco e Venere, ho uno solo dei tre vizi”); altrettanto perfetto Willem Dafoe, prima anima nera e poi angelo sterminatore.
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