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Auto Focus

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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La recensione su Auto Focus

di Kurtisonic
8 stelle

Una canzone, Video kill the radio star, tormentone del 1980 anticipò la trasformazione della musica in videoclip, mentre il suo testo potrebbe riassumere grossolanamente una parte di Auto Focus di P.Schrader condannato a fare buoni film ma ad essere sempre ricordato come lo sceneggiatore di Scorsese. Il video mostrava però un mondo edulcorato e ingenuo, proteso verso un epoca futurista piena di buoni propositi e di sogni realizzabili. Schrader pur usando prevalentemente toni da commedia fa crescere con abilità la forza emotiva  e analitica della vicenda trasformandola alla fine in un dramma tragico e doloroso. Un conduttore radiofonico Bob Crane, lascia la radio per avventurarsi nel mondo televisivo e diventa il protagonista di un serial di successo. Qualcosa scricchiola però nella sua vita, affamato di sesso e non maturo per gestire la nuova immagine pubblica che il video gli cuce addosso, non sa che vedere il riflesso di un’immagine muta e indiscussa che lo separa dalla percezione della realtà e dal senso della sua esistenza. Con l’amico John Carpenter, tecnico precursore delle nuove frontiere home video si cala in avventure sessuali sfrenate, in affari andati male, in contratti di lavoro non rispettati e sempre meno soddisfacenti che lo porteranno alla rovina. Auto Focus è il ritratto spietato della messa a fuoco del maschio che non si chiede nulla, che non coltiva nessun senso critico, che si adegua ai modelli imposti dalla cultura imperante cercando solo di trarre benefici senza nessuno scrupolo. Auto Focus è un manifesto  feroce, un grido di allarme che si proietta nei nostri giorni in cui la cultura video sembra ormai l’unica forma di comunicazione veritiera quando invece è la meno solida  e la più manipolabile e drammaticamente la più convincente. Schrader non descrive un apparato ambientale, il film è centrato sull’individualismo di Crane e sulla sua mediocrità che non può concedersi pause di riflessione. Lo spaccato sociale, per quanto in procinto di subire grandi mutamenti, perché il film è ambientato negli anni 70, non è totalmente negativo e lungi dall’essere fagocitato dalla frenesia tecnologica comunicativa (che oggi purtroppo è anche relazionale) presenta diversi personaggi molto distanti dall’amoralità di Crane, le due donne che sposerà e che gli daranno dei figli, il suo vecchio agente  che cerca di trovargli lavori dignitosi, l’amico John Carpenter che non lo abbandonerebbe mai. Tutti gli offrono la loro vicinanza, oltre che vedere  sanno ancora sentire, ascoltare, ma il vuoto di Crane è incommensurabile, si placa solo davanti all’immagine ormai ripetuta all’infinito delle stesse situazioni più o meno scabrose che lo vedono  facile protagonista. John Carpenter, interpretato da un bravo Willem Dafoe alter ego di Schrader  e nel film, di Bob Crane,( un altrettanto bravo Greg Kinnear), fa la parte del diavolo tentatore, seduce la mente vuota di Crane con l’entusiasmo per le nuove tecniche video, partecipa lui stesso alle scorribande sessuali dell’amico, incarna uno spirito ambiguo e oscuro diviso fra la condivisione e lo sfruttamento delle doti e della fama di Crane. La sequenza più riuscita di Auto Focus vedrà proprio John protagonista assoluto, poiché usato dal regista per offrire una possibilità  all’immagine di staccarsi dalla sua parete a specchio e di trasformarsi in linguaggio visivo, in una completezza  e in un insieme comunicativo poetico, struggente, autentico: la telefonata nel finale fra John e Bob, nella quale Schrader mostra attraverso il volto e la figura di John cos’è l’immagine, riempie lo schermo delle pieghe del suo volto, delle angolazioni spigolose del suo corpo che sottolineano la drammaticità del dialogo apparentemente poco significativo, la  mdp che si muove liberamente dentro la stanza in cui John sta parlando, offre  riprese sorprendenti, concede e spiega il punto di vista dell’amico e da la misura reale del suo sentimento di amicizia. Ma nel filo del telefono non ci sono prodezze amatorie, non c’è il riscontro visivo immediato senza il quale Crane non coglie nulla. Il film è tratto da un libro e da una storia vera, e direi che non si stenta proprio a crederci.  

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