Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Forte di un magistero narrativo e stilistico inattaccabile come una roccaforte strategicamente difesa, nel segno di quella classicità matura (non classicismo!) propria solo dei grandi (Ford, Hawks, Visconti, l'Eistenstein di "Alexander Nevskij", quella gente lì insomma...), Kurosawa compone un eccellente film d'avventura che abbina, con efficacia e vigore, l'andamento tormentato, tragico, violento del miglior Shakespeare alla solenne e rigorosa ieraticità della cultura nipponica. "Trono di sangue" costituisce un valido ed ispirato modello, che il grande regista porterà ad ineguagliabili esiti espressivi 30 anni dopo con "Ran", forte di una fotografia a colori sulla scorta della quale far esplodere l'incontenibile vena espressionista che costituisce la cifra latente di un cinema in apparenza tanto composto. Ma il bianco e nero non impedisce certo ad Akira di comporre sequenze di straordinario impatto visionario, come le apparizioni orrifiche ed accecanti dello Spirito del Bosco o il memorabile finale con la foresta semovente e il leader martoriato dalle frecce amiche. Un film su un uomo solo, reso folle dalla sete di potere; un debole, un fanatico, un colosso coi piedi d'argilla, che prende corpo e volto di Toshiro Mifune, a suo agio in una interpretazione caricata. Un film sul Male che si ritorce inevitabilmente contro chi lo mette in atto, che tormenta anime e corpi. Kurosawa rende in maniera mirabile il senso di tragedia incombente, senza per questo rivelarsi scontato. Tra le tante perle figurative, spicca il momento in cui Washizu viene relegato ai margini dell'inquadratura, mentre il centro è riservato al vacuo stemma della propria dinastia, simbolo di sangue e morte: è il Male della politica, della famiglia, dell'istituzione che emargina e infiacchisce l'Uomo. Splendida anche la rivelazione della follia della moglie, che simbolicamente si lava le mani credendole sporche di sangue. Cinema umanista, morale, potente: classico.
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