Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Uno degli adattamenti cinematografici più felici dell'opera di Shakespeare e senz'altro la migliore versione del Macbeth, molto amata da grandi scrittori come Thomas S. Eliot e critici letterari come Harold Bloom. Il genio del regista consiste nel visualizzare il dramma dell'ambizioso e crudele Macbeth attraverso un'atmosfera da incubo, estremamente ieratica e stilizzata, che ritroviamo soprattutto nelle scene dell'incontro con la Parca che rivela la Profezia dell'ascesa al Trono, nell'allucinazione che coglie Macbeth/Wahizu ad un banchetto, nella scena della "Foresta che si avvicina al Castello" e nel finale in cui Washizu viene ucciso con un'imponente scarica di frecce avvelenate. La fedeltà allo spirito del Bardo è indubbia anche se vi sono, naturalmente, diverse infedeltà alla lettera, ossia la trama non coincide del tutto con quella di Shakespeare; c'è anche una forte influenza del teatro No, soprattutto nella presenza spettrale della moglie di Washizu, Asaji, interpretata dalla grande Isuzu Yamada, attrice prediletta da Mizoguchi negli anni Trenta. La tecnica registica di Kurosawa è controllatissima in ogni elemento della composizione, dai movimenti di macchina alla resa espressiva del bianco e nero, mai fine a se stessa ma sempre rivolta all'impatto complessivo delle diverse sequenze che compongono l'opera. Toshiro Mifune in una delle sue più grandi interpretazioni di sempre contribuisce in maniera determinante, insieme alla Yamada, alla bellezza di un film che secondo il critico Aldo Tassone "ispira più ammirazione che simpatia", e che insieme al successivo Ran dell'85, ispirato al Re Lear, si pone come una pietra miliare nel rapporto fra l'opera del drammaturgo inglese e il cinema.
voto 9/10
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