Regia di Mario Costa vedi scheda film
Una giovane giornalista russa, atea, vola in Italia per un’inchiesta sul cattolicesimo. Il suo aereo cade in mare, ma lei si salva e conosce un uomo di cui si innamora, capace inoltre di farle ritrovare la fede.
Questa produzione italo-spagnola non è il solito melodrammone dell’epoca: è peggio. Peggio perché, al netto di una confezione molto ben rifinita e di una narrazione pulita, sufficientemente coinvolgente, Prigionieri del male si propone come una sorta di manifesto o per lo meno di opuscolo religioso, lasciando gravitare fatti e personaggi attorno a un solo concetto imprescindibile: la fede in Dio. Ma in quello vero, quello cristiano. Quest’operazione sostanzialmente non è molto differente da un proclama estremista di qualche esagitato dei nostri giorni sul web. Peccato perché Mario Costa, avvezzo a lavori popolari, qui ha una buona occasione per realizzare qualcosa di qualitativamente migliore rispetto alla sua media: fotografia di Carlo Carlini, musiche di Carlo Rustichelli, montaggio di Roberto Cinquini, cast internazionale con protagonisti, tra gli altri, Francisco Rabal, May Britt, Bernard Blier, Vera Carmi e, in un ruolo smaccatamente leggero ai confini con la macchietta comica, Nino Manfredi. I requisiti per ottenere un risultato più avvincente c’erano, ma la sceneggiatura – del regista, di Aldo De Benedetti e di Alberto Albani Barbieri – che prende spunto da un romanzo di Guido Milanesi è quella che è: l’ideologia sovrasta i contenuti e fioccano rapidamente gli sbadigli. 2,5/10.
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