Regia di Kelly Marcel vedi scheda film
Film conclusivo dell’infelice (artisticamente, se non commercialmente) trilogia dedicata all’anti-eroe Marvel che, però, non ha mai davvero funzionato del tutto (così come, del resto, anche tutte le pellicole del franchise Sony dedicati ai nemici/colleghi dell’Uomo Ragno), Venom - The Last Dance (che riprende il fortunato titolo del documentario sull’ultima stagione, vincente, di Michael Jordan con i suoi Chicago Bulls) rappresenta la fine (!?) del viaggio di Tom Hardy nei panni del simbionte più famoso dei fumetti e la “definitiva” chiusura del cerchio iniziata nel 2018 con la prima pellicola di Ruben Fleischer.
"Noi siamo.. si, vabbè, questa l'avete già sentita."
Originariamente in cabina di regia sarebbe dovuto tornare, dopo il secondo capitolo, Andy Serkis se l’adattamento filmico dell’orwelliano La Fattoria degli Animali (che dovremmo vedere sul grande schermo probabilmente l’anno prossimo) non fosse entrato in contrasto con i tempi di lavorazione che la Sony/Columbia aveva in programma per il nuovo Venom.
Al suo posto viene quindi promossa l’esordiente Kelly Marcel (che è poi la factotum del mondo cinematografico di Venom avendo scritto e prodotto le due pellicole precedenti), anche sceneggiatrice del film insieme allo stesso Hardy, che mantiene inalterato il suo spirito scanzonato ad uso e consumo di un intrattenimento estremamente leggero, come un cinecomic d'altri tempi, ed è almeno sincero nel suo essere un palesassimo guilty pleasure, quindi toni da commedia che strizzano l’occhio ai buddy-movie ma con qualche spruzzata di rom-com.
The Last Dance ha, al solito, un tono strano e incoerente, squilibrato tra la sua dimensione più tragica e quella comica e, quindi, anche sfacciato in quanto ben consapevole di questo (alla terza pellicola non possono non essersene resi conto... oppure no?), ma risulta anche sovraccarico, meno insensato rispetto a Let There Be Carnage ma ritmicamente fiacco e privo di reale ambizione.
"Ssshh, meno diciamo cose e meglio è."
La forza (!) della saga, retroattivamente, era quella di sovvertire attraverso l’umorismo più becero, la sgangheratezza e il coraggio di buttarla in caciara ogni volta che era possibile il format epico e serioso del classico cinecomic (soprattutto quello degli anni’90/inizio anni duemila), ibridandolo con la scorrettezza verbale e con qualche accenno anche all’horror più commerciale.
Ma con il passare degli episodi la situazione, già piuttosto complicata di par suo, non faceva che degenerare sempre di più, perdendo di vista una possibile decostruzione del genere supereroistico in una chiave artificiosamente sardonica e precipitando invece nella farsa più puerile.
Arrivato al suo terzo e, a quanto pare, ultimo capitolo il Venom targato Sony conferma quindi non soltanto i problemi che lo accompagnano dall’esordio ma riesce anche a peggiorarli, dalla scrittura spesso irrisolta o infantile capace di complicare anche storie relativamente semplici fino a gestire malissimo i personaggi o di non curarsene a sufficienza nonostante gli ottimi interpreti (vedi quelli di Chiwetel Ejiofor e di Juno Temple e i cliché relativi al solito militare arrogante e alla scienziata geniale), dalla regia insipida all’eccesso (e abuso) della computer grafica.
L’effetto è talmente cringe e l’imbarazzo è, spesso, così persistente che viene ormai il dubbio che il tutto sia stato (quasi) intenzionale.
"Sigh"
Rimangono giusto i siparietti al limite (e oltre) dello slapstick tra Eddie e il simbionte che lasciano a volte interdetti lo spettatore (e spesso spezzano il ritmo del film) per una simpatia talmente iperbolica (o ruffiana?) da, come si sul dire, fare il giro e tornare indietro.
Un po’ troppo poco per salvare il franchise.
Che poi, visti i numeri, doveva davvero essere salvato?
P.s. Si
VOTO: 4,5
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