Regia di William Friedkin vedi scheda film
L. T. Bonham fa il tracker nella British Columbia. Dalla sua casa immersa nella neve, percorre i sentieri dei lupi e li salva dalle trappole di cacciatori stupidi e dissennati. L. T. Bonham calza scarpe di cuoio dalla suola liscia, non lascia tracce, ha l’andatura silenziosa degli animali selvatici, sa mimetizzarsi nel paesaggio. Anche Aaron Hallam sa mascherare la propria presenza tra gli alberi e le felci dei boschi di Silver Falls, porta scarpe uguali a quelle di L. T. e, sopra gli abiti, indossa una rete di corda. Ma lui non salva i lupi: uccide i cacciatori, con un pugnale micidiale che ha imparato a fabbricarsi da solo durante l’addestramento nella Delta Force. Aaron è uno di quei soldati americani pluridecorati che non sono più riusciti a sottrarsi al sapore della violenza dopo missioni nelle carneficine internazionali (il Kossovo, nel suo caso). L. T. è l’uomo che l’ha addestrato, uno che conosce ogni lotta corpo a corpo e ogni metodo di uccisione, ma che non ha mai ammazzato nessuno. Come dice lui stesso, è l’unico che può fermarlo. Parte così l’incessante inseguimento tra maestro e allievo, tra un padre roso dai sensi di colpa e un figlio che ha cercato il suo aiuto prima di trasformarsi in assassino: si affrontano nella foresta, si danno la caccia in mezzo al traffico della metropoli, in auto, in bicicletta, in metropolitana, fino allo scontro finale in una parco che assomiglia a una giungla esotica. William Friedkin gioca a rimpiattino con i suoi due protagonisti con l’abilità che gli è consueta; la caccia all’uomo è sempre stata la sua specialità e il cuore del suo cinema. In The Hunted si rimpiange solo che ogni azione sia troncata nel giro di pochi minuti, come se i due personaggi avessero fretta di arrivare su quella “Highway 61“ dove Abramo sacrificherà Isacco (la canzone di Dylan è citata da Friedkin, in apertura), come se il cinema di oggi non consentisse più i “tempi” di quello anni ‘70. In The Hunted ci sono Un tranquillo weekend di paura, Il cacciatore e Rambo. Al posto della paranoia, c’è la paura, non l’America che diffida di se stessa, ma quella che si barrica in casa. Tutto miscelato in un caleidoscopio di grado psicologico e narrativo vicino allo zero. È un film “di pelle”, iconograficamente costruito su miti. Prendere o lasciare, le leggende riposano in pace, meglio isolarsi tra i lupi.
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