Regia di William Friedkin vedi scheda film
Ciò che riesce meglio a Friedkin, rispetto a tanti altri mestieranti, è il motivo de "l'uomo contro l'uomo", che poi potrebbe benissimo essere tra l'uomo e se stesso, visto che i cattivi da abbattere spesso e volentieri sono le proiezioni cattive di noi stessi. Qui è tra l'altro evidentissimo questo nodo psicologico perchè Tommy Lee Jones è il maestro di Del Toro. Quindi siamo noi che creiamo i mostri (e Lee Jones potrebbe essere quindi l'America istituzionale). Ma ad un senso così profondo, bellissimo da eslorare con lunghissimi duelli di carattere, il regista preferisce la pura azione. E sia chiaro, non sbaglia. Solo si ha il rammarico che William Friedkin avrebbe potuto fare di più, e soprattutto rischiare qualche azzardo che al cinema di oggi servirebbe moltissimo. Indiscutibili i momenti più alti, come Del Toro che si fa strada tra il traffico congestionato (scena che vuole ricalcare il cult della sopraelevata in "Il braccio violento della legge"), oppure come, per l'appunto, la scena di un'immancabile sopraelevata che è il preludio del finale. Belli i combattimenti, meno funamboli di Tarantino, ma per questo più ancorabili a quella triste (e ce lo dice pure la natura là intorno) realtà che dobbiamo affrontare. Il combattimento finale è un vero martirio, una tortura a cui siamo obbligati anche noi spettatori: fiotti di sangue denso, tagli in zone impensabili, botte e cadute da non rialzarsi più... E' forse il nostro conto in sospeso da pagare prima di ritornare liberi e guariti come un lupo bianco in mezzo alle nevi?
Delude un po' questo finale simbolico e quasi addomesticato, ma l'orrore ce lo portiamo dietro, ci dice Friedkin, e dobbiamo affrontarlo. Nel bene e nel male.
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