Regia di William Friedkin vedi scheda film
Davvero non capisco che gusto ci sia a girare un film in cui la più comune logica (in qualunque modo la si voglia intendere e/o apprezzare) è assente dall’inizio alla fine: già subito dopo le fiammeggianti sequenze introduttive dei massacri in territorio balcanico, la scena del lupo selvaggio che si lascia docilmente impastrocchiare la ferita dai compassionevoli sputazzi di (un ottimo) Tommy Lee Jones comincia ad inoculare nello spettatore le prime serie perplessità. L’eroe pressochè cibernetico passa poi attraverso una serie di passaggi astrusi in cui incrocia il contro-eroe Benicio Del Toro (cibernetico a sua volta), allocandosi insieme tra innevate foreste, spazi metropolitani e improponibili set di jungla filamentosa, imbarcando un personaggio femminile che ha la stessa funzione di un sasso tagliente e multisfaccettato dentro uno scarpone da trekking: fastidioso e handicappante (peccato che alla bella Connie Nielsen l’esorcizzante Friedkin abbia voluto dare il ruolo del maschiaccio, facendole perdere, col non indifferente contributo di uno dei peggiori hair-stylers della storia del cinema, tutto il suo fascino). Fino ad arrivare all’ultima risolutiva sequenza in quel di Portland & dintorni, cioè dalla metropolitana alle cascate dell’Eden con due pedalate, in un inseguimento assurdo che, se non fosse ridicolo per tutte le incongruenze che contiene (e quindi in qualche modo divertente), sarebbe proprio da buttare al macero. Peccato, perché gli ingredienti non erano affatto miscelati male: un ottimo cast (tutti bravissimi), un gran lavoro sulla velocità, i corpo-a-corpo, personaggi ben definiti (anche se in maniera un po’ infantile, ma efficace), anche una bella sceneggiatura e una regia impegnativa…. Bastava quel pizzico di logica nel cucinare il tutto e sarebbe potuto essere un buon film. Friedkin invece si lascia ingenuamente demonizzare dalla foga tutta corri-corri e pesta-pesta, senza curare i passaggi, arrotondare le situazioni, valutare i tempi e i modi….. Pazienza, sarà per un’altra volta.
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