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The Ring

Regia di Hideo Nakata vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Ring

di OGM
8 stelle

La leggenda è l’anima immortale della storia, ed i miti veramente intramontabili, che meglio resistono ai millenni, sono quelli più foschi, quelli che riescono a sopraffare la nostra capacità di giudizio con la forza di un terrore incomprensibile. Ringu è la classica storia di superpoteri diabolici, che vivono per sempre per poter eternamente continuare a uccidere. Come in un racconto di vampiri, il loro influsso si propaga da individuo a individuo, attraverso lo scambio di un qualcosa che nutre, però non sazia mai: nell’epoca delle comunicazioni a distanza e della realtà virtuale, il veicolo di questo contagio non è il sangue, non è un’eredità di natura organica, bensì un lascito visivo, in cui, anziché il codice genetico del proprietario, è impresso un crittogramma per immagini che narra il suo passato e, soprattutto, la sua tragica fine. Come per Dracula, anche per la piccola Sadako la morte scaturisce, come un malefico germoglio, da altra morte, in una infinita catena destinata a non esaurirsi mai. E’ questo il significato originario dell’anello che compare nel titolo del film - prima che la successiva riedizione made in USA  lo trasformasse in un elemento concreto, una forma circolare che compare in un fotogramma del video killer.  La pellicola giapponese, in questo senso, si rivela più “primitiva”, perché più astratta, più legata ai concetti generali di umanità e bestialità, di bene e male, di luce ed ombra, che non ai travagli esistenziali dei singoli individui. Lo sforzo della protagonista  Reiko - che diventerà Rachel nel remake hollywoodiano, ed è, in entrambi i casi, una giornalista – è, essenzialmente, mirato ad avvicinare e  capire gli animi degli esseri umani coinvolti in una atroce e cupa vicenda, laddove la sua omologa americana  si affanna, invece, a ricostruire e documentare il tessuto logico dei fatti. La fantasia, la sensibilità ed il lavoro fatto con le mani sono le armi di Reiko, che si giova anche della casualità, mentre Rachel procede sistematicamente, utilizzando la razionalità, le competenze tecniche, le fonti bibliografiche, le strumentazioni elettroniche.  Anche il ruolo delle immagini è diverso, nelle due versioni della storia: nella prima permane la vaghezza dell’arte, che opera per suggestione, e non si esprime attraverso un linguaggio rigorosamente codificato, mentre nella seconda ogni dettaglio assume un ruolo ben preciso, e diventa un tassello fondamentale nel mosaico risolutivo. Nel primo caso, a causare ed aggravare l’infernale intreccio sono gli errori delle persone, gli incontri sbagliati, in un quadro di debolezze che spazia dall’avventatezza della gioventù al cinismo dell’età matura; nel secondo caso, ogni evento è parte di un disegno scrupolosamente studiato, e, in quanto tale, lascia una particolare traccia grafica: una nota, un simbolo, un numero. Se, in The Ring, il quadro narrativo assume la veste di un impianto giallo perfettamente rifinito,  in Ringu il pensiero è, per così dire, ancora in volo, e rimane, incompiuto, a vagare tra gli uomini, che sopravvivono passandosi di mano in mano un piccolo frammento di mistero.

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