Regia di Hideo Nakata vedi scheda film
E questo sarebbe il mitico horror giapponese che tremare il mondo fa? Il film da cui gran parte della produzione di genere successiva ha tratto ispirazione, copiandone fino alla saturazione idee, spunti, persino intere sequenze? Il titolo che ha dato origine ad un fenomeno mediatico di proporzioni fin esagerate ed incomprensibili? Forse non sarò in sintonia con la cultura giapponese (eppure amo alla follia il cinema di animazione di quel maestro che è Hayao Miyazaki). E' anche vero che il genere horror non è il mio preferito (ma quanti brividi ogni volta che rivedo "Carrie lo sguardo di Satana" di De Palma, per esempio). O più semplicemente sono stato sfortunato nello scoprire l'originale di Nakata solo dopo avere visto non tanto il piatto remake americano di Verbinski, quanto le molteplici, appassite ed anonime, rivisitazioni o scopiazzature che negli ultimi anni sono state realizzate e che inevitabilmente ne hanno smorzato, e di molto, l'effetto sorpresa e le potenzialità emotive. Il che, va detto, non va proprio a merito del film (quante sono state le imitazioni e le degenerazioni di "Psycho", giusto per fare un esempio, senza che il capolavoro di Hitchcock perdesse un grammo della sua forza): è un segno evidente che a pochi anni dalla sua realizzazione "Ringu" risulta già piuttosto datato e superato. E certo anche Nakata ci ha messo del suo: dopo "Ringu" sono usciti un sequel, girato dallo stesso Nakata ed un prequel ("Ringu O Basudei" di Norio Tsuruta) oltre che il remake americano con relativo seguito firmato sempre da Nakata. Senza contare che c'era già stata una precedente versione televisiva "Ring: Kanzen-ban" di Takigawa Chisui, un remake coreano "Ring: virus" di Kim Dong-bin, prima coproduzione coreano giapponese e altre versioni televisive o a fumetti. L'idea di questo fantasma femminile, di bianco vestita, con lunghi capelli neri che scendono davanti al volto e l'occhio che uccide è stata sfruttata in maniera quasi maniacale ed ossessiva e alla lunga si è rivelata deleteria e monotona. Il fantasma di Sadako dovrebbe vendicarsi di tutti coloro (a partire dai suoi creatori cinematografici) che ne hanno inflazionato fino all'esasperazione la sua immagine. Come se non bastasse Nakata ha poi realizzato "Dark Water", leggermente migliore e a sua volta già rifatto a Hollywood da Walter Salles con Jennifer Connelly (l'attrice, paradossalmente, aveva rifiutato il ruolo da protagonista di "The ring" a favore di Naomi Watts, con una scelta professionale poco oculata visto che "The ring" ha sfondato i botteghini, mentre "Dark Water" si è rivelato un flop), che riprende temi e personaggi di "Ringu", ma più ancorato alla realtà e dunque più efficace, perché la paura nasce da situazioni quotidiane ed ordinarie, come una macchia di umidità sul soffitto dell'appartamento. Non sarà un caso ma entrambi i titoli sono tratti da romanzi di Kôji Suzuki, considerato lo Sthephen King nipponico, ispiratosi, per la scrittura di "The ring", al suo film horror preferito "Poltergeist". Nei due film di Nakata, dunque, c'è sempre una giovane donna separata e madre di un bambino (bambina in "Dark water") trascurato/a per i troppi impegni lavorativi, alle prese con un fantasma che sconvolge la sua vita, tornato dalla morte (in "Ringu" riemerge da un pozzo, in "Dark Water" da una cisterna d'acqua) per vendicarsi. Cosa non convince nel film, che si rifà da un lato alla tradizione dei kaidan eiga (film di fantasmi prodotti in Giappone già a partire dagli anni quaranta, che hanno per protagonisti fantasmi vendicativi, spesso donne), che a loro volta si rifanno al kabuki e a tanta tradizione spettrale giapponese, e dall’altro a quella dei kowai manga, fumetti dell’orrore spesso indirizzati ad un pubblico femminile, e sovente basati su leggende metropolitane? Sembrerà paradossale ma è proprio la tensione, tutt'altro che insostenibile. Certo non mancano alcuni spaventi genuini e ben calibrati (personalmente trovo molto efficace e paurosa la sequenza in cui Reiko scopre, d'improvviso nel pieno della notte, il figlio imbambolato davanti alla tv ad assistere al film maledetto), ma paiono per lo più automatici, meccanici, telefonati, fin troppo prevedibili. Emblematica in questo senso la scena iniziale con due ragazze che parlano, ora in modo scherzoso e divertito, ora in modo preoccupato e serio, della leggenda metropolitana di un video indecifrabile che compare a notte fonda su una rete privata cui fa seguito una misteriosa telefonata che preannuncia la morte di chi ha visto il filmato esattamente una settimana dopo la visione. Solo lo spettatore più sprovveduto non capisce che la telefonata che ricevono le due ragazze e che interrompe la loro discussione animata è un bluff. Del resto "Scream" docet. Certe soluzioni visive (immagini riflesse sullo schermo del televisore, fotografie sfocate e deformate, inquietante presagio di morte - vera leggenda folcloristica in cui molti giapponesi credono - fermo immagine sul volto terrorizzato, con gli occhi spalancati, delle vittime di Sadako, un attimo prima della morte "per terrore", che pare avere così origini soprannaturali, incomprensibili, ignote, tanto orribili da non poterne sopportare la vista neanche per un secondo) e certe simbologie (l'acqua e il cerchio) oggi sembrano avariate e gli attori, immobili ed ammutoliti, sono ben al di sotto del livello di guardia. La sceneggiatura poi si sviluppa in modo fin troppo schematico ed annunciato (l'indagine dei due protagonisti per risolvere il mistero del film videoregistrato ha l'andamento, la suspense e le sorprese di un telefilm da prima serata) così che l'atteso incontro nel pozzo tra Reiko e Sadako delude per la sua immediata e scontata ovvietà. Nakata rifarà tra l'altro identica la sequenza in "Dark Water" (anziché nel pozzo, l'abbraccio tra la protagonista ed il fantasma avverrà nell'ascensore), ma l'effetto sarà decisamente migliore per la forte componente melò di quel film, dove il rapporto madre e figlia e le dinamiche familiari vengono scandagliate con maggiore profondità ed intensità. Qui ci si limita a semplici accenni risolti in un banale battibecco tra ex coniugi: il padre poi non sa nemmeno che il suo piccolo ha già iniziato ad andare a scuola, così che quando si ritrovano, sotto la pioggia, il bambino lo supera senza salutarlo. Un'altra immagine ricorrente, in entrambi i film, è proprio la figura di un ragazzino/a con zaino sulle spalle e ombrello per ripararsi dalla pioggia che si reca a scuola. La parentesi all'isola e l'incontro con lo zio di Sadako sono infantili e sbrigativi, mentre ridicola è la sequenza in cui il vecchio, per regolare definitivamente i conti con Sadako, si propone di riaccompagnare sulla terra ferma i due protagonisti guidando un peschereccio quando il mare è in piena tempesta. Il finale, volutamente aperto e sospeso, (Reiko dopo avere scoperto come fermare la maledizione corre per salvare il figlio, ma nuvole minacciose si addensano all'orizzonte) è uno sfacciato e un pò fastidioso annuncio di un immancabile seguito, che puntualmente infatti è arrivato. Il film di Sadako, in un bianco e nero traballante ed inquietante, immagini rovinate ed artigianali, da film "pirata", alla "Blair Witch Project" - film a cui spesso questo "Ringu" è stato avvicinato - con un sonoro cigolante e martellante è curioso, sinistro e criptico, ma nulla di più. La soluzione finale (basta copiare il film e consegnarlo a qualcun altro che a sua volta lo veda e ripeta l'operazione e così all'infinito se si vuole salva la vita in un'ipoteca catena di San Antonio) piuttosto deludente e poco incisiva, così come davvero facile e semplicistico è il consueto espediente di risolvere il tutto attraverso i misteriosi poteri soprannaturali dei due protagonisti. Infatti toccando oggetti o persone Reiko e l'ex marito "vedono", attraverso ripetuti flashback in bianco e nero, quello che in passato è realmente accaduto a Sadako. E' difficile però per uno spettatore, per di più digiuno di cinema giapponese accettare questi strani poteri dei due protagonisti, poteri che compaiono inattesi ed all'improvviso, in modo non del tutto comprensibile e giustificato, senza che nessuna anticipazione o spiegazione venga fatta in precedenza, dando alla storia, che altrimenti rischiava di avvitarsi su se stessa, una svolta piuttosto furba, affrettata e convenzionale. Va bene che logica e plausibilità non sono gli elementi che più si ricercano in un horror ma qui la complicità che si richiede è troppa. Tra l'altro si tratta di un'idea tutta farina del sacco di regista e sceneggiatore, perché nel comunque non eccelso romanzo di Suzuki non si fa alcun accenno a questi strani poteri e l'indagine si svolge in modo molto più terreno e credibile, anche se poi la soluzione data dal romanziere all'enigma di Sadako è davvero bruttina, forzata ed incolore (più convincente quella del film). Apprezzabile invece la totale assenza di splatter ed esasperazioni di violenza, elementi invece che stanno rovinando l'horror occidentale, così come perfetti e disturbanti sono i titoli di testa su acque limacciose, sporche ed ondeggianti. Interessante anche l'idea centrale del film: "il passato si riversa nel presente attraverso il futuro (la tecnologia). Persi nella società dell'immagine e del visivo, sono proprio i media - televisori, macchine fotografiche, telecamere, telefoni - il tramite di un mondo-altro inconciliabile con logica e salvezza, in grado di distorcere la realtà, insinuandosi sottopelle". (Stefano Locati da "Nocturno Dossier - L'occhio nel pozzo. Storie di fantasmi giapponesi"). Innegabile infine che la sequenza più celebre del film, evidente omaggio a "Videodrome" di Cronenberg, quella in cui il fantasma di Sadako, ancora nel filmino, esce dal pozzo, si avvicina progressivamente allo schermo, fuoriesce dalla tv e dalla realtà filmica si materializza, striscia sul pavimento, si alza lentamente, procede con un andamento spettrale e lugubre e rivela tra i suoi lunghi capelli neri un occhio crudele, rancoroso e vendicativo che procura la morte immediata della vittima, sia sconvolgente, impressionante, decisamente forte, un autentico capolavoro di puro, ineluttabile, terrore, capace di inchiodare alla poltrona senza spargere nemmeno una goccia di sangue. Incredibile. Da notare che la minacciosa andatura di Sadako è stata ottenuta facendo camminare la ragazza all'indietro, per poi mandare la sequenza alla rovescia in fase di montaggio, creando così un passo innaturale che rafforza l'aura di spavento che suscita il personaggio. Ma basta da sola a rendere grande un film? Evidentemente no. Da ricordare ancora le dita senza unghie di Sadako, mentre la sequenza in cui Reiko trova una ciocca di capelli di Sadako nell'acqua stagnante del pozzo ha un effetto molto più spaventoso in "Dark Water": qui i capelli del fantasma escono d'improvviso dal rubinetto ed il salto sulla poltrona è garantito. Mi sembra che in definitiva ci si trovi di fronte all'ennesimo prodotto dichiarato troppo frettolosamente cult movie da tanta critica specializzata, sempre alla ricerca di nuovi capolavori. I cult movie sono destinati a restare e durare nel tempo; "Ringu" pare piuttosto invece ridursi ad una moda effimera e furbetta destinata a durare una breve stagione e ad essere dimenticata velocemente, non appena arriverà alla ribalta un nuovo immaginario del terrore di cui il pubblico, specie adolescenziale, sembra avere sempre più bisogno. Nel genere però si sta raschiando irrimediabilmente e pericolosamente il fondo del barile. Innocuo e decisamente sopravvalutato. Comunque se proprio vogliamo ricavare un consiglio da questa visione: guai ad affittare una videocassetta senza etichetta. Il titolo "Ringu" inizialmente è stato scelto dal regista con riferimento allo squillo di un telefono o di una sveglia: solo casualmente nel film si sono ritrovati poi così tanti segni e simboli circolari. Il nome "Sadako" significa letteralmente "il bambino casto". Successo senza precedenti al box office giapponese e vincitore a diversi festival internazionali di cinema fantasy tra cui il Festival di Cinema Fantastico di Bruxelles, il Fanta Asia Film Festival, il Nat Film Festival, il Catalonian International Film Festival.
Voto: 5 e mezzo.
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