Regia di Michael Caton-Jones vedi scheda film
Il quadro generale è da manuale di psicoterapia applicata al crimine in versione edipica. Vincent La Marca (con il quale Robert De Niro aggiunge un altro personaggio non trascurabile alla sua infinita galleria di tipi e di maschere), figlio di un infanticida, cresciuto sul filo della rimozione, è un poliziotto coriaceo e poco propenso alle sfumature psicologiche: chi ha compiuto un crimine deve pagare. Le attenuanti o le motivazioni contano poco o niente. Però arriva il momento in cui le angosce dell’infanzia tornano a gravare su questo universo triste e fatalistico e il protagonista incappa nell’indagine più difficile che potesse immaginare: il figlio, trascurato, quasi un estraneo, è sospettato di omicidio. La storia ha una simmetria sconcertante e, nonostante sia ispirata a una vicenda realmente accaduta e raccontata da un giornalista di “Esquire”, sembra quasi una forzatura da copione. La paternità mancata come maledizione e condanna esistenziale viene enunciata attraverso i cliché di un “cop drama” con accenti da mélo suburbano. De Niro ha la sicurezza manierata di un attore al quale basta poco per disegnare un ruolo e insieme a Frances McDormand riscatta un film che non è un film indimenticabile, ma che non è neanche disprezzabile e in cui i rapporti interpersonali tra gli attori sono più interessanti della sceneggiatura e della regia.
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